Alcuni aspetti dei santuari molisani

Un piano regolatore non può certo stabilire dove dovrà sorgere un santuario, non è come fissare il luogo in cui ubicare la chiesa parrocchiale a servizio di un nuovo quartiere cittadino. È da dire che il problema posto, cioè il posto da assegnare ad un santuario, non si pone (posto, pone …) perché non è detto assolutamente che in quel determinato comune ci debba essere di necessità un santuario. È una logica imperscrutabile quella che sta dietro alla nascita dei santuari, è in qualche modo un mistero della fede. Ciò che attiene alla spiritualità non può certo essere governato da uno strumento urbanistico, la sede della parrocchia è un’altra cosa in quanto intesa nella legislazione italiana quale servizio collettivo, alla stregua di scuole, spazi verdi, ecc. A volte la decisione di costruire un santuario è connessa all’accadimento di avvenimenti soprannaturali quale è l’Apparizione della Madonna a Castelpetroso, l’edificazione del santuario qui la si può definire una scelta eterodiretta, voluta dall’Alto, da molto in alto, ovverosia effettuata per volontà divina. Si tratta, comunque, di casi rari in quanto ordinariamente le località in cui si realizzano i santuari non sono connesse con l’essere successo lì un fatto miracoloso. E comunque vale per diversi santuari, la determinazione della loro costruzione è in relazione alla sacralità insita in quel sito, seppure non si tratti del sacro di cui alle, appunto, Sacre Scritture; il sentimento spirituale che emana un certo areale può provenire dalle sue caratteristiche naturali, un genius loci perpetuazione del culto ancestrale, volta per volta, delle grotte, la chiesetta ipogea di Pietracupa, delle sorgenti, la stessa Castelpetroso ne è un esempio perché c’è una fonte d’acqua sorgiva, delle vette.


Ci soffermiamo un po’ su quest’ultima categoria. Alcune sommità dei monti più alti sono state consacrate in epoca moderna, non è un fenomeno antico, dall’apposizione di croci, a cominciare da monte Miletto; l’altitudine trasmette al credente il senso di vicinanza a Dio. Le cime delle montagne sono una specie di interfaccia tra cielo e terra, quindi elementi di congiunzione tra le cose terrestri e quelle celesti. Qualcuna di loro, segnando il passaggio tra il terreno e l’ultraterreno, viene dedicata al culto con l’edificazione di santuari sul modello dei Sacri Monti che costellano l’arco alpino e monti è, appunto, chiamato comunemente il rilievo sovrastante Campobasso su cui si erge un santuario mariano. È esplicito il riferimento al monte nella denominazione della bella chiesa di S. Maria, non per niente, del Monte a Cercemaggiore. Sui gruppi montuosi molisani si incontrano diversi eremi tra cui vi sono i due S. Egidii, di Frosolone e di Boiano, che sono venerati, nelle relative cappelle, alla maniera di santuari; a questo proposito è da dire che da noi gli eremi sono meno numerosi di quelli presenti nell’Appennino abruzzese rappresentando quasi una coda della lunga serie di eremitaggi della confinante regione, una specie di scia. L’interesse deve essere posto non solo ai punti con valenze cultuali, ma pure al percorso che occorre compiere per raggiungerli che nel caso degli eremi i quali sono, di norma, montani è in salita e perciò faticoso. La fatica che è richiesta per arrivare fin lassù è un po’ la metafora dello sforzo che è imposto ai fedeli per conseguire la salvezza dell’anima, una forma di espiazione dei peccati cioè una penitenza. Il cammino penitenziale è, di sicuro, più arduo se la meta, il santuario, è in quota, ma è altrettanto impegnativo se il santuario è assai distante, anche se magari non ci sono forti dislivelli da superare. Conta, in altri termini, anche la lunghezza del tragitto, quanto più esso è lungo tanto maggiori saranno le indulgenze che si acquisiranno, fondamentali per aspirare al Paradiso. Si sarà capito che stiamo per parlare delle grandi Vie, la Micaelica, la Francigena, il Cammino di Santiago, delle quali solo la prima interessa il Molise e alle quali vanno aggiunti i meno affollati Cammino di S. Francesco, di S. Camillo De’ Lellis, di S. Francesco Caracciolo tutti di scala sovraregionale che toccano pure il territorio molisano; unicamente le prime hanno quale termine un santuario il quale è sempre di notevole rilievo, in verità la Francigena un insieme, l’insieme delle basiliche romane, e, d’altro canto, a proposito della dimensione del santuario è nelle cose che essa sia in rapporto alla dimensione, chilometrica, della Via. Piace evidenziare che la nostra regione potrebbe ambire a divenire una tappa del Cammino di S. Benedetto, un ulteriore cammino impostato sulle orme di un santo, nello specifico il punto-tappa potrebbe diventarlo S. Vincenzo al Volturno, un antichissimo monastero benedettino. Invertiamo ora i termini del discorso, dai santuari posti alla conclusione di un percorso ai santuari situati in tratti intermedi di un percorso, nell’un caso un percorso di fede, nell’altro un percorso che possiamo definire laico, il percorso, è da precisarsi, in ambedue le casistiche è di rilevante estensione. Lo annunciamo subito: nella prima fattispecie di percorrenza il santuario è grande, nella seconda è piccolo, inoltre nella prima è unico, nella seconda sono molteplici. Siamo pronti per svelare ciò di cui stiamo discutendo: gli uni sono i santuari maggiori che stanno alla fine delle Vie, gli altri sono i tanti santuari minori ubicati lungo le vie, adesso con l’iniziale minuscola, ovvero piste tratturali. Limitandoci ad un pezzo del Celano-Foggia, quello che va dal Biferno al Fortore, camminando su questo tratto incontreremo S. Maria di Montecastello a Ripabottoni, S. Pietro a S. Elia a Pianisi, S. Elena a S. Giuliano di Puglia, architetture che possiamo riconoscere, abbiamo iniziato parlando di urbanistica, essere “attrezzature” religiose funzionali allo svolgimento della transumanza permettendo ai pastori di avere un momento di raccoglimento per pregare. In conclusione va fatto, per completezza di trattazione, un breve accenno ad un’altra peculiarità dei santuari che si aggiunge a quella delle valenze cultuali ed è la loro significatività dal punto di vista culturale: sono cose che non sono discordanti, del resto una sola lettera separa cultuale da culturale, tra i principali monumenti architettonici di questa terra vi sono i santuari, i più belli sono quelli di stile romanico, non ce ne voglia Castelpetroso, da S. Maria della Strada alla Madonna di Canneto a quella di Casalpiano.
Il numero degli ex voto aumenta il prestigio del santuario
Tutti si portano a casa da Lourdes la bottiglietta la cui sagoma riproduce quella della Madonna Immacolata apparsa qui. In ogni, appunto, casa anche molisana, Lourdes è la principale meta di pellegrinaggio dei molisani, ve n’è una. È una specie di souvenir che testimonia l’avvenuto viaggio e questa non sarebbe una singolarità in quanto la maggioranza delle persone che si reca in visita a un santuario ritorna da lì con un “ricordino”, fosse un semplice “santino”. Ciò che distingue tale oggetto-ricordo che magari si regala ad amici e famigliari, e allora diventa “pensierino”, dagli altri è il contenuto della piccola bottiglia il quale è un decilitro di acqua miracolosa, quella sgorgante dalla grotta di Massabielle dove la Vergine Maria apparve a Bernadette Soubirous. Non c’è nessun santuario, eccetto questo, che produce miracoli a distanza, un distacco in termini di spazio, le migliaia di chilometri che separano il Molise dai Pirenei, e di tempo, il prodigio si può verificare anche molto dopo il ritorno dal luogo sacro e ne può beneficiare tanto colui che è rientrato dallo stesso quanto chi ha ricevuto in dono la predetta bottiglietta. Non è l’acqua ovviamente, è esclusivamente un simbolo di purificazione, è la Madonna ad essere prodigiosa, all’acqua si attribuiscono, ad un’analoga maniera delle reliquie, la capacità, magari ingerendola o bagnandovisi, di sollecitare l’intervento della Divinità in proprio favore.


È un tema vasto quello della specializzazione dei santi nel curare determinati mali al quale qui accenneremo solamente. S. Biagio che si venera, non è un’esclusiva, a S. Biase, Comune di cui è Patrono, si dedica alle infermità della gola, S. Donato, il cui culto si pratica nella chiesa di S. Sebastiano a Roccamandolfi, è specialista nell’epilessia con speciale attenzione per i piccoli. Se queste sono delle sofferenze di singoli, vi sono pure problemi di salute collettiva. Rientrano in tale categoria i colpiti da terremoti e per prevenire questo evento catastrofico ci si appella a S. Emidio, ad Agnone è dedicata a Lui una apposita chiesa, e le epidemie, in particolare quella della peste. In tantissimi centri della regione vi è una cappella intitolata a S. Rocco, un vero e proprio santo anti-peste, un autentico specialista del settore; essa è ubicata fuori dal centro abitato poiché funge l’edificio di culto anche da sepolcreto degli appestati presupponendo che financo i loro cadaveri siano contagiosi e vicino ad un ingresso all’agglomerato immaginando la presenza della chiesa come uno scudo ad una eventuale replica della pandemia. Sempre in ottica comunitaria in una terra come la nostra dove in passato aveva un notevole peso la pastorizia per assicurare il benessere delle greggi si prega la Madonna della Transumanza
Il pellegrinaggio, cioè l’andare di persona al santuario, conferma, comunque, la sua validità quale pratica penitenziale attraverso cui si espiano i peccati commessi facendo diventare più forte la richiesta di aiuto alla Madonna. Seppur non fosse stato possibile raggiungerlo personalmente per invocare l’assistenza delle Entità Celesti è vera ingratitudine non recarvisi in caso di Grazia Ricevuta. Nel santuario, prendi S. Maria delle Fratte a S. Massimo oppure S. Cristina a Sepino, sono esposti gli ex-voto di coloro che hanno visto esaudita la preghiera e la quantità degli stessi aumenta il prestigio del santuario e conseguentemente la sua fama di essere in grado di appagare i desideri di chi vi si rivolga. Non c’è una gerarchia tra i santuari in questo senso, nessuna proporzionalità tra numero di frequentatori e di soddisfazioni delle aspettative di soccorso; del resto, se sono appese alle pareti del santuario le testimonianze di successo delle suppliche non è possibile conteggiare il quantitativo delle implorazioni indirizzate alle Deità, non vi sono segni votivi dai quali risalire agli appelli dei bisognosi di cura, corporea o spirituale, in definitiva il grado di successo dei voti. Vari ex voto riproducono gli organi anatomici, le parti del fisico umano risanate e a tale proposito occorre dire che esistono santuari specializzati per alcune malattie. La già nominata S. Cristina è preposta ai disagi mentali, alcuni pensano legati a possessioni demoniache.
la cui effige si trova riprodotta in svariati fabbricati di culto, segnalando, comunque, che non sono state realizzate chiese apposite per questa Madonna, l’architettura alla stregua di un ex-voto, adesso gigantesco. Finisce qui l’ampia digressione e si riprende il filo del discorso. Si evidenzia che tanto per gli ex-voto quanto per le teche che contengono le reliquie spesso si è di fronte a oggetti preziosi, sia per materiale utilizzato, gli ex-voto sono costantemente in argento non solo quelli dei miracolati benestanti bensì pure dei risanati poveri, sia per le fattezze artistiche, i reliquiari sono autentiche opere d’arte sacra come il braccio, autentico capolavoro di oreficeria della S. Cristina sepinate nel quale è custodito l’arto della Santa, facendo notare che la protezione è accresciuta dal fatto che sta in una cappella della ex-cattedrale di Sepino sottratta alla frequentazione quotidiana di fedeli e visitatori denominata significativamente Tesoro, un duplice sistema di tutela della reliquia. Tra tutti i santuari molisani in uno solo è previsto un apposito percorso penitenziale ed è quello di S. Angelo in Grotte dove vi è la Scala Santa che si sale in ginocchio, ben più faticoso e si immagina efficace per emendare i peccati del camminare scalzi come si fa nel pellegrinaggio di S. Liberato a Roccamandolfi a tratti.
Un santuario a scala regionale, Castelpetroso,
e uno a scala ridotta, S. Maria delle Fratte
Il santuario di Castelpetroso fu, meglio è stato, passato prossimo perché la sua consacrazione è avvenuta solo 50 anni fa, una novità assoluta nel Molise nel campo dei luoghi di culto extraurbani. Fino ad allora le architetture religiose ubicate nell’agro erano tutte di ridotta entità, con l’unica esclusione dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno, mentre ora con questo fabbricato fa la sua apparizione nel territorio rurale molisano un episodio architettonico davvero importante. Se è di rilievo, non solo dal punto di vista percettivo, rilievo fisico la questione volumetrica lo è altrettanto quella della larghezza della sfera per così dire di influenza che è estesissima. È, infatti, un santuario regionale mentre quelli sorti in precedenza sono di carattere locale. Alle volte “piccolo è bello”, non è che perché si è grandi si è necessariamente migliori, siamo passati dalla semplice constatazione dei valori dimensionali al raffronto tra le valenze semantiche dei due tipi di santuari, quelli maggiori e quelli minori. Essere di scala minima porta con sé il rapportarsi con una realtà circoscritta e ciò significa un incremento del sentimento di comunità, nei santuari di elevata, per così dire, stazza si allentano i legami comunitari, chi li frequenta proviene da orizzonti differenti, anche da località extraregionali,

il che fa si che gli individui che vi si recano in visita neanche si conoscano fra loro, gli incontri tra la generalità dei devoti sono limitati ai momenti del festeggiamento delle divinità, massimo un paio all’anno, non si stabiliscono rapporti duraturi, non vi è la condivisione, tramite il racconto o una semplice confidenza, di avvenimenti di vita vissuta, delle esperienze maturate nell’esistenza quotidiana e così via. C’è poi da dire che in un santuario nuovo come quello di Castelpetroso si entra in qualche forma di relazione con gli altri praticanti del tempo presente, non con le generazioni precedenti, mentre in un santuario “storico” ci si ricollega con i propri antenati i quali in vita lo hanno frequentato, cui ci si sente legati per la comunanza nella fede, una fratellanza, magari per ragioni di parentela si dovrebbe parlare di una “figliolanza” intergenerazionale. I santuari minori costituiscono spesso un fattore identitario, concorrono alla creazione oppure al rafforzamento dell’identità della società del posto. Si avverte da parte dei membri di un insieme sociale che abita quel territorio, da un lato, l’appartenenza a quel santuario in riguardo alla spiritualità, è ovvio i credenti, e, dall’altro lato, che non è il lato opposto evidentemente, che il santuario appartenga loro anche nel senso proprietario.
Quest’ultimo modo di sentire si riscontra, ma, si avverte, è un’eccezione, anche nell’attaccamento che hanno i sanmassimesi verso S. Maria delle Fratte, il proprio santuario, pur non essendo stato costruito dai loro avi bensì dai Cavalieri dell’Ordine di Malta quale ex voto in un epoca imprecisata, comunque molto lontana da quella odierna, un lasso temporale notevolissimo durante il quale sono stati gli abitanti di S. Massimo a prenderla in carico; l’ordine cavalleresco che è un ordine ospedaliero semmai ha continuato a presidiare il santuario si deve essere limitato ad assicurare l’assistenza ai pellegrini, un minuscolo fabbricato attiguo alla cappella, è la sua “ragione sociale”, peraltro tale ordine non ha un radicamento in questo comprensorio. Si è detto S. Massimo ma bisogna aggiungere Cantalupo e Castellone di Boiano i cui cittadini sono, erano, molto affezionati a questa Madonna agreste, tali 3 centri sono equidistanti rispetto al sito dove sorge la chiesetta; l’attaccamento delle 3 cittadinanze lo attestano le offerte finalizzate al rifacimento nel secolo scorso del pavimento, riportate in un cartello a ricordo della donazione che sta all’interno dello spazio sacro. In definitiva, S. Maria delle Fratte è un santuario comprensoriale, non semplicemente comunale,
un circondario delimitato a differenza del santuario di Castelpetroso che ha un respiro, territoriale, ampio che travalica pure i confini regionali, in qualche modo indefinito (da Pietramelara ci si va il giorno dell’Apparizione di Maria in pellegrinaggio valicando il Matese). Proseguendo il confronto: mentre S. Maria delle Fratte è baricentrica tra 3 nuclei abitati, il Santuario della Madonna Addolorata è al confine tra 2 diocesi, Campobasso e Isernia, e a proposito della confinazione dei perimetri diocesani questa non è un’esclusiva di Castelpetroso perché succede pure per S. Maria delle Stelle in agro di S. Angelo Limosano posta al limite fra le diocesi di Trivento e, di nuovo, Campobasso. È un requisito richiesto al santuario quello della sua centralità, quanto più è centrale tanto più è accorsato, che però cozza a rigor di logica con l’esigenza di separatezza al fine di garantire il silenzio necessario per la meditazione sul Mistero Divino, ma tant’è. Il santuario è opportuno che sia inserito in un’oasi di verde, un rimando all’Eden; particolarmente suggestivo è il parco naturale che circonda il Santuario di Canneto a Roccavivara. A S. Maria delle Fratte che è effettivamente fuorimano si prova una sensazione di solitudine al contrario del Santuario di Castelpetroso che è prossimo alla principale arteria viaria regionale. Quest’ultimo sarebbe dovuto essere realizzato più a monte, nel sito dell’Apparizione che è appartato, la dislocazione a valle rivela una voglia di visibilità, di dominio del “segno” religioso sul paesaggio che è a cavallo dei bacini del Trigno e del Biferno, rinunciando all’isolamento il quale serve ad assicurare la pace indispensabile per la concentrazione nell’atto del pregare.

Una gran varietà di santuari
Un santuario è anche un fattore di orgoglio strapaesano. La Madonna che si venera nel santuario presente nel proprio territorio comunale non è in condivisione con gli abitanti di altre zone, vi è una sorta di esclusiva in quanto a patronaggio, è patrona di quel popolo innanzitutto. È vero, vi sono delle eccezioni come quella di S. Maria delle Fratte a S. Massimo un tempo oggetto di pellegrinaggio da parte delle popolazioni di Cantalupo e di Castellone di Boiano, ma non sono tante. Ogni comune possiede una Madonna con la relativa chiesa, non si hanno Madonne in comune anche qualora i comuni siano vicini, occorrerebbe che la Madonna sia la stessa altrimenti, per assurdo, si avrebbe un luogo di culto in cui pur essendo unico vi si venerano più Madonne differenti, non è proprio possibile! La credenza delle 7 sorelle, 7 Marie che si traguardano a vista l’un l’altra a cominciare dall’appena citata S. Maria delle Fratte e a seguire S. Maria delle Macchie a Vinchiaturo, S. Maria ad Nives a Baranello eccetera eccetera rivela che si riteneva che fossero 7 Maria diverse poiché la loro denominazione è dissimile. Santuari pur prossimi che non avevano rapporti fra loro se non l’intervisibilità.

Le 7 sorelle è vero che sono in serie, ma è altrettanto vero che non costituiscono un insieme in quanto non vi è continuità territoriale nonostante la mutua prossimità. Poiché sono distaccate vicendevolmente ciascuna di Loro, meglio di esse in quanto stiamo parlando di santuari rappresenta un’isola di sacralità. In definitiva, non hanno niente in comune come magari sarebbe potuto essere un pellegrinaggio con un percorso che Le abbracci tutte e 7. Un santuario, inoltre, è motivo di vanto, il vantarsi di essere sotto la protezione di una divinità, non solo per una comunità ma pur per esponenti della classe dirigente del posto i quali vogliono far passare l’idea di avere con il santo/a protettore un rapporto privilegiato, quindi una relazione distinta e separata rispetto al resto della popolazione. È il caso di S. Liberato a Roccamandolfi, santuario in cui vi è la cappella sepolcrale della famiglia feudale dei Pignatelli i quali titolari di una pluralità di feudi scelgono proprio questo paesino alle falde del Matese per la loro sepoltura. Ciò al fine di sentirsi protetti oltre che nella vita terrena in quella ultraterrena da questo Santo Martire che nel XVIII secolo avevano, il Pignatelli di turno, il feudatario dell’epoca, voluto prelevare dalle Catacombe romane e trasportare in questa loro lontana terra.
l sepolcreto del predetto casato sta non distante dal “corpo santo” che qui è disposto in un sarcofago sovrastante l’altare. Pure i D’Alessandro hanno il loro patrono, non casualmente S. Alessandro che giace in una cappella privata, comunque accessibile al pubblico all’interno del castello di Pescolanciano e ciò, indubbiamente, porta prestigio a questi altrettanto plurifeudatari anche se non è meta di pellegrinaggio. Il possedere se non le spoglie per intero dei frammenti di qualche santo è qualcosa di cui essere fieri per una ecclesia ovvero una unità di fedeli. A S. Massimo vi è un pezzo di un dito del Vescovo di Nola, la restante parte del fisico è distribuito fra varie chiese tra cui la Cattedrale dell’Aquila. In questo modo, quello della frammentazione della struttura corporea suddividendola tra più entità ecclesiali porta alla moltiplicazione dei luoghi di culto del santo. Per evitare che si possano profanare le reliquie, la cui autenticità è sottoposta a verificazione nel tempo, con determinate cadenze esse si pongono in reliquiari, in genere elementi specifici di arredo sacro e, invece, a S. Massimo funge da custodia il busto stesso del Santo Patrono. C’è dalle nostre parti e forse anche altrove in giro per l’Italia un’alta se non eccessiva densità di santi, financo negli edifici di culto minori vi è spesso una teca con reliquie

e del resto dato che la santità dei Martiri è indiscutibile e che i Martiri delle persecuzioni romane furono tantissime, un martirio di massa, non era difficile recuperare alla bisogna dalle Catacombe parti del corpo, o il corpo per intero di qualcuno dei primi seguaci di Cristo primi martirizzati. Di santuari non ci sono solo quelli sorti in passato, ma anche di nuovi, dedicati non a santi di altre epoche bensì a santi anch’essi nuovi, da poco assunti alla gloria degli altari, personaggi vissuti in età contemporanea santificati di recente, maggiormente in sintonia perciò con la spiritualità odierna. È emblematica la costruzione del santuario a Forlì del Sannio, ancora non completata, in onore di S. Giuseppe Moscati il quale è un medico appena del secolo scorso, perciò non troppo indietro nel tempo, la cui santificazione è dovuta anche al fatto che possa essere, la sua vita cristiana, il suo impegno per i pazienti
poveri, di esempio da imitare da parte della categoria medica. Gli abitanti di Forlì sono compiaciuti dall’idea di avere un santuario nel proprio territorio la cui realizzazione costituisce un atto di pietà è solo secondario il fatto che può attrarre flussi di turismo religioso. Ci sono pellegrini che si recano a visitare reliquie in santuari anche distanti e reliquie cosiddette pellegrine le quali vengono condotte in tour che hanno toccato anche la nostra regione dimorando temporaneamente in edifici di culto nostrani, è successo con S. Rita da Cascia. Non deve sembrare una cosa strana, non vi è una relazione biunivoca tra reliquia e santuario, a S. Massimo S. Maria delle Fratte che non ha reliquie è un santuario, mentre la parrocchia che ha la reliquia del Patrono non è un santuario. Per non sbagliare si deve essere orgogliosi tanto delle reliquie quanto del santuario.
Il culto mariano si rinnova
Castelpetroso, il suo santuario, inaugurato negli anni ’70 del secolo scorso quindi recente, ha portato importanti novità nel panorama dei santuari molisani. Una di queste è il ridimensionamento degli altri santuari presenti sul territorio regionale, specie di quelli più vicini ad esso e ciò in termini di attrattività. Si prenda S. Maria delle Fratte a S. Massimo il quale in precedenza, precedentemente alla nascita del santuario di Castelpetroso, era accorsato anche da devoti di Castellone di Boiano e di Cantalupo come attesta il cartello interno alla chiesa elencante le donazioni effettuate a suo tempo per la ristrutturazione dell’edificio. Tanti di questi si devono essere spostati verso Castelpetroso, peraltro ad uguale distanza per gli abitanti di Cantalupo dalla Cappella, così viene chiamata, sanmassimese. Quest’ultima ha subito, è vero, una riduzione della propria sfera di influenza, ora limitata solo al perimetro comunale di S. Massimo, ma, comunque, non è sparita, almeno finché la struttura è stata in efficienza, come punto di riferimento religioso pur trattandosi del medesimo culto che è sempre quello mariano.

Un fatto unico ed eccezionale che contraddistingue il santuario di Castelpetroso e dal quale deriva la sua primazia sul resto dei santuari è che qui è apparsa la Madre di Dio. È un santuario cosiddetto di apparizione, non ve nè altri da noi, lo si ribadisce, l’apparizione più prossima è quella avvenuta a Foggia quindi fuori regione, nel primo caso la Madonna Addolorata, nel secondo la Madonna Incoronata. È significativo per quanto si sta per dire che quest’ultima è chiamata Madonna della Transumanza. Ambedue le apparizioni si sono verificate in siti contigui ai tracciati tratturali e ciò ci porta a pensare che ci sia un legame con la religiosità pastorale. La Madonna qui e lì è comparsa ai bambini che sono la fascia di popolazione più indifesa, per di più a dei pastorelli e i pastori sono la fascia di popolazione più umile. La chiesa dei poveri e nello stesso tempo la chiesa più ricca, s’intende dal punto di vista architettonico.
Con il riconoscimento dell’Apparizione da parte delle autorità ecclesiastiche viene avviata la sua edificazione con offerte di benefattori privati di estrazione sociale alta, dunque una iniziativa che non viene da una spinta popolare. La Chiesa, i suoi vertici, dà evidentemente avallo all’operazione avendo interesse a promuovere un culto universale qual’ è quello della Madonna per contrastare “particolarismi” in campo religioso i quali possono sfociare nell’affermazione di teorie sulla fede non conformi all’ortodossia cattolica. Occorre una precisazione circa la volontà della Chiesa di evitare la parcellizzazione devozionale, altrimenti potrebbe apparire come un’affermazione contraddittoria per quanto si sta per dire: per la dottrina ufficiale la Madonna una è e una rimane nonostante che cambi con frequenza l’attributo. Quella di Castelpetroso è la Madonna Addolorata per cui il santuario è meglio conosciuto come Santuario dell’Addolorata.

Le specificazioni al nome di Maria sono tante, ad esempio degli Angeli, del Soccorso, delle Grazie, ecc. e a tale pluralità di nomi corrisponde una pluralità di giornate in cui Lei viene festeggiata. Nel calendario sono riportate differenti date festive legate ai diversi momenti della vita di Maria, dall’Annunciazione alla Visitazione alla Purificazione ovvero la Candelora, all’Assunzione e ciò moltiplica le ricorrenze della Madonna per cui durante l’anno Ella è costantemente sotto i riflettori, per così dire, i fedeli sono invitati a pregarLa di continuo. Con un andamento altalenante facciamo ora un passo indietro, torniamo alla questione dell’Apparizione che si è detto essere un’esclusiva del Santuario di Castelpetroso, la sua ragione fondante, che lo distingue nell’universo dei santuari molisani. La gran parte dei santuari nostrani usa come calamita, per dirla in maniera scherzosa, per attirare i fedeli, le reliquie, si pensi a quelle di S. Liberato di Roccamandolfi comune confinante con Castelpetroso. Si sottolinea, ancora giocando, che i santuari mariani non possono, di certo, disporre, si insiste, di resti della Madre di Dio, non si vuol essere dissacratori, perché Ella è stata Assunta in Cielo, niente del Suo corpo è rimasto sulla Terra.
Al posto di reliquari in essi vi sono immagini dipinte del tipo della tradizione cristiana orientale o sculture riproduzioni a tutto tondo della figura della Madonna le quali, le prime e le seconde, hanno un valore sacrale. Tra le statue si segnala quella rinvenuta in prossimità di S. Angelo Limosano, santuario della Madonna delle Stelle e quella di Cercemaggiore, santuario della Madonna della Libera, ambedue stavano sottoterra, le quali rimpiazzano le reliquie; in questi manufatti scultorei si incarna in un certo qual modo la Divinità, stando di fronte ad essi ci si sente come stare al Suo cospetto. Infine, i santuari a volte sono al confine tra realtà territoriali distanti anche in riguardo agli ambiti diocesani: se il santuario di Castelpetroso è sulla “frontiera” tra le Diocesi di Campobasso e Isernia (e in relazione all’idrografia tra i bacini del Biferno e del Trigno) S. Maria delle Stelle è a cavallo tra quella di Campobasso e, adesso, di Trivento (i bacini sono sempre gli stessi), dunque i santuari quali fattori di coesione fra le genti.
Discordanze tra intitolazione delle chiese e santi che lì si venerano
Di santuari abbiamo diverse tipologie qui da noi, magari non nel senso proprio del termine, quello stabilito dal diritto canonico. I santuari sono secondo il modo di sentire comune, non, lo si ripete, coincidente in pieno con le disposizioni dell’ordinamento ecclesiastico, le chiese che sono oggetto di pellegrinaggio. Iniziamo, e ci soffermeremo a lungo su questo, da un tipo di santuario non usuale, il santuario urbano. Ve ne sono almeno due, legato l’uno alla devozione per S. Felice a Civitanova del Sannio e l’altro a S. Liberato a Roccamandolfi. La prima specificità, oltre a quella di essere situati in un contesto insediativo è che l’edificio di culto in cui i resti del santo sono conservati è intitolato ad un altro santo, in ambedue al santo patrono del paese, S. Silvestro a Civitanova e S. Giacomo a Roccamandolfi.

È ben strano che i pellegrini entrino in fabbricati religiosi dedicati ad un certo santo e rivolgano le loro suppliche non al “titolare” del luogo di culto bensì ad un santo diverso. Il santo del quale porta il nome la struttura chiesastica dovrebbe essere, a rigor di logica, quello oggetto di venerazione in via principale. Tale equivoco si spiega con il fatto che le chiese parrocchiali sono risalenti, il loro impianto originario, al periodo paleocristiano e già da tempo avevano assunto il proprio nome, il nome proprio, antecedentemente perciò alla traslazione al loro interno delle reliquie; seppure spoglie di personaggi antichissimi martirizzati dai romani, il loro trasferimento in queste chiese è successivo alla titolazione delle stesse, è un fenomeno di età molto più tarda per cui i predetti Martiri non potettero pretendere il cambio della denominazione della fabbrica sacra, sono pur sempre ospiti. Generalmente il nome della sede della parrocchia, di norma una, coincide con quello del santo protettore del paese, ma vi sono anche eccezioni, vedi S. Massimo ove la chiesa parrocchiale è dedicata a S. Salvatore, non a S. Massimo che è il patrono; è un caso particolare perché sarebbe stato troppo togliere l’intitolazione a Nostro Signore e neanche è ipotizzabile fare del Figlio di Dio il patrocinatore della comunità, sarebbe stato un capovolgimento dei ruoli essendo il patrono l’intercessore presso l’Entità Divina di cui Gesù è Egli stesso parte a favore degli abitanti del posto.
A S. Massimo dove vi è una falange del dito del Vescovo di Nola non si cambiò il nome della chiesa parrocchiale e, però, si cambiò il nome del comune, da Castello ad, appunto, S. Massimo con l’arrivo delle reliquie. Eppure appare più semplice mutare il nome di un edificio di culto che di un intero borgo; il cambiamento della denominazione non è tanto, ad onor del vero, per rendere omaggio al santo quanto per la genericità del precedente nome, Castello, il quale è privo di nessun’altra specificazione a differenza di ciò che accade nelle tante realtà insediative la cui denominazione ha quale suffisso la parola castello seguito da una specificazione di luogo, prendi Castel di Sangro e Castel del Monte, per citare i più celebri. Qui a Castello sarebbe stato facile aggiungere “del Matese”, ma così si sarebbe potuto confondere con Castello del Matese che sta nel versante campano. Tornando a noi, cioè alla questione del santuario urbano sarebbe stato troppo chiedere di cambiare il nome del centro da Roccamandolfi a S. Liberato, forse la denominazione della parrocchia si e al proposito c’è un precedente costituito da un ulteriore santuario urbano, quello di S, Cristina a Sepino. La ex-cattedrale ora parrocchiale si intitola S. Cristina della quale si custodisce, in un prezioso reliquario in argento, un arto della santa e non l’intero corpo come succede a Roccamandolfi con S. Liberato; nonostante ciò S. Cristina è una santa di maggior rilievo, se è


lecito fare una classifica fra santi, di S. Liberato del quale si riconosce il suo martirio, per il resto è sconosciuto, una specie di “milite ignoto” e ciò deve essere stata la giustificazione dell’attribuzione all’architettura religiosa sepinate del nome di S. Cristina. Edifici di culto dove vi è una sovrapposizione assoluta tra santo che lì si venera e intestazione della chiesa, per quanto stiamo per dire, della cappella la si ritrova specialmente in campagna, vedi S. Oto a Castelbottaccio; nell’agro il santo intestatario non ha comprimari e del resto in una chiesetta che è di dimensioni ridotte non c’è spazio per più altari, l’abside ha una superficie ristretta. C’è una puntualizzazione da fare e che si doveva fare prima ma che per non interrompere il filo del discorso che si sta seguendo non si è fatta è che il raffronto è stato istituito con S. Massimo poiché Comune confinante a Roccamandolfi. Per completare questa ampia dissertazione sul rapporto tra la titolazione della chiesa e i santi che vi si adorano, riscontriamo che a Roccamandolfi la discrasia fra le due cose si ripete due volte, della prima si è detto, la seconda la si espone ora: nella chiesa di S. Sebastiano si va principalmente per implorare S. Donato di guarire dall’epilessia il proprio bambino. Sarebbe interessante capire, lo si dice a latere, come la compresenza di più santi all’interno di una chiesa, aventi, è ovvio, pari dignità, ma la venerazione verso i quali da parte dei fedeli non ha pari intensità possa influire sull’organizzazione dello spazio sacro; il caso limite è il sarcofago di S. Liberato collocato sull’altare maggiore della parrocchiale di Roccamandolfi, il quale è anche visivamente il fulcro dell’architettura.
I cammini religiosi
Può capitare che i santuari siano dei luoghi, luoghi pii per dirla con esattezza, non delle chiese. Di certo occorrono sedi fisiche, è la natura consueta di un santuario, per officiare i riti, non basta uno spazio dove celebrare la messa all’aperto. Per intenderci qualcosa di simile ai “santuari della natura” in campo appunto naturalistico, nel caso nostro un ambiente ricco di una carica religiosa. Quel determinato posto acquisisce l’aura di santuario se lì si è svolto qualche avvenimento sacro, mettiamo un episodio della vita di un Santo o dello stesso Gesù. Nel caso di Nostro Signore si va a venerare quando si è in visita in Terrasanta il colle del Golgota a Gerusalemme proprio come se si andasse ad un santuario, non vi sono, né potrebbero esserci perché è Risorto, reliquie della Divinità come solitamente si trovano in un santuario ma sembra lo stesso di stare in contatto con l’Essere Divino; non si possono omaggiare i suoi resti mortali, baciare la teca che li contiene, si può, però, respirare la stessa aria che aveva inspirato il Cristo nella sua esistenza terrena.

Analogo sentimento, se è lecito paragonare cose piccole alle grandi, che si prova percorrendo qualcuno degli itinerari seguita da Santi del passato, è come se si stesse camminando insieme a loro; alcuni sono stati debitamente attrezzati per permettere lo svolgimento di trekking da parte degli escursionisti. Il più importante e quindi il più segnalato e segnato con tabelle segnaletiche è “Con le Ali ai Piedi”, il cammino francescano diverse tappe del quale interessano il Molise, con il Poverello di Assisi che è idealmente il compagno di viaggio; si tratta, se si condivide quanto detto in premessa, di una sorta di santuario lineare oppure in movimento. Ci si immedesima con S. Francesco provando la sua fatica nel procedere lungo il tragitto, seguendo i Suoi passi, non ci sono il saio o
altri oggetti appartenenti al Santo per sentirne la presenza al proprio fianco, niente che rimandi al santuario tradizionalmente inteso. Ovviamente il camminare è un’esperienza religiosa per i credenti e, invece, è semplicemente una camminata per i laici, magari avente interesse culturale poiché si ripercorrono antiche strade esistenti quando vi ci si incamminò quel personaggio storico salito dopo la sua morte alla gloria degli altari. La nostra regione è attraversata da vari Cammini oltre quello di S. Francesco, da quello di S. Camillo De Lellis che tocca Trivento a quello di S. Francesco Caracciolo che raggiunge Agnone a questo, questo interamente molisano, di S. Filomena, recentissimo, il quale ha avvio e termine a S. Elena Sannita.

Ci sarebbe, poi, la Perdonanza che però, è un Cammino che non è ancora stato formalizzato il quale investe S. Angelo Limosano posto dove presumibilmente ha inizio l’esistenza terrena di Celestino V e ha quale meta L’Aquila altra tappa decisiva della vicenda umana di Pietro Angelerio che qui è stato incoronato Papa. Si è portati ad attribuire a questo paese l’onore di aver dato i natali a Papa Celestino e non a Isernia che se ne contende la nascita e ciò perché si addice meglio ad un eremita come ambientazione delle sue origini in villaggio di montagna, S. Angelo L. è a oltre m. 800 di quota, piuttosto che una realtà urbana, se si trattasse del Figlio di Dio lo scenario appropriato è un presepe. A S. Angelo Limosano è facile suggestionarsi e considerare il borgo un ambiente venerabile, alla stessa maniera che se si stesse in un santuario, nonostante che Celestino V pur essendo un Santo non vi ha fatto miracoli. In qualche modo, seppure non vi abbia fatto niente di prodigioso, Celestino lo ha santificato con lo stesso fatto di esserci nato e di avervi trascorso la giovinezza. S. Angelo Limosano è un centro appartato che la modernità ha solo sfiorato, la sensazione che si ha è che il tempo lì si sia fermato, l’ambientazione giusta per l’ascetismo con gli asceti tipo Celestino V che amano il silenzio e la solitudine. Non è che nel Molise siano nati poi tanti santi per cui è un caso a sé stante per tale condizione rara di essere la patria di un Santo quella di S. Angelo Limosano.
Se fosse stato oltre che di nascita il posto di sepoltura di Celestino con la presenza del “corpo santo” S. Angelo si sarebbe configurato come un santuario nel suo insieme; tale situazione di un abitato di essere al contempo la località sia che Gli ha dato i natali sia il posto in cui è avvenuta la morte con conseguente tomba di un Santo lo si riscontra ad Assisi con S. Francesco la quale viene definita “città santuario”. Torniamo ai cammini dai quali siamo partiti per fare una specificazione: essi sono distinti tanto dal pellegrinaggio quanto dalla cosiddetta via sacra. I pellegrini intraprendono il loro viaggio a piedi per arrivare a un santuario, il Santo è lì ad attenderli, la percorrenza in sé non ha un carattere spirituale, è, su per giù, un mero incedere finalizzato a raggiungere la meta, anche se magari si recitano preghiere. Per spiegare cos’è la via sacra si offre quale esempio la Via Matris, ve ne sono due nella nostra regione, la prima sta sulla collina Monforte a Campobasso, la seconda nel santuario di Castelpetroso; il tema per entrambe è lo stesso, gli episodi della vita di Maria illustrati nell’un caso con bassorilievi, nell’altro caso con gruppi scultorei, il muoversi tra di loro è come scorrere le pagine di un testo edificante. Tre cose diverse, ma nello stesso tempo simili.

Pellegrinaggi trasnazionali e pellegrinaggi nell’ambito locale
Che il Molise fosse interessato fin dal Medioevo dal passaggio di pellegrinaggi, di sicuro quello diretto verso il Gargano che è appena al di là del confine sud della regione, è un fatto certo e per un, ancora, certo verso fatto non da poco. Infatti rivela che anche noi, da un lato, siamo stati coinvolti dal fenomeno che ha riguardato tutta Europa della mobilità delle persone e quindi della frequenza dei contatti fra le genti del nostro continente e, dall’altro lato, che abbiamo vissuto una storia simile dal punto di vista della religiosità simile a quella del resto del Vecchio Mondo. In definitiva, non siamo stati una terra isolata, non soffrivamo nell’Età di Mezzo la condizione di separatezza che sentiamo attanagliarci oggi. Ci sono anche segni fisici che testimoniano questa unità continentale relativamente al pellegrinaggio ed è l’immagine del pellegrino con il bastone come si usava rappresentare l’Apostolo Giacomo che è scolpita in un risvolto del portale della facciata laterale della chiesa di S. Maria della Strada a Matrice, quel S. Giacomo ovvero Santiago il cui santuario a Campostela è raggiunto da tantissimi pellegrini di ogni nazione europea. L’effige di S. Giacomo vestito da pellegrino è una specie di insegna
che avverte che si è in presenza di un santuario, anche S. Maria della Strada lo è, qualsiasi esso sia. Sempre nella stessa chiesa di Matrice troviamo, stavolta sul portale principale, il bassorilievo nella lunetta raffigurante episodi secondo la studiosa Jamison di racconti tratti dalle chansons de geste, per inciso secondo una versione alternativa è che si tratti (da trattare non da trarre come prima, n.d.r.) della vicenda biblica del Profeta Giona. Si dice che questo genere letterario che è in forma orale nato in Francia si sia sviluppato proprio sulle vie di pellegrinaggio e la specificazione di luogo, strada, che accompagna il nome della Madonna nell’intitolazione dell’edificio religioso matriciano indica che lì passava uno dei cammini percorsi dai pellegrini. Pure in tempi odierni si percepisce questa unità dei cristiani a livello continentale sostanziata dalla frequentazione di santuari condivisi, non cioè appannaggio del solo territorio in cui ricadono. Se il santuario, parliamo dei santuari maggiori, quelli, per così dire, di scala sovrannazionale, è troppo distante dal luogo di residenza allora si procede a replicarlo, in piccolo, nelle vicinanze di casa.

A prescindere dall’evento miracoloso, peraltro simile a quello verificatosi a Lourdes, l’apparizione della Madonna e sempre a dei ragazzini, il santuario di Castelpetroso situato ai piedi del Matese è stato concepito a somiglianza di quello situato ai piedi dei Pirenei tanto che viene denominato usualmente Piccola Lourdes. Gli stessi caratteri architettonici sono simili, entrambi seguono i canoni dell’Eclettismo Storicistico adottando ambedue lo stile neogotico. Castelpetroso si può definire, pertanto, un “santuario sostitutivo” perché sostituisce il recarvisi, per chi non ha modo di effettuarla, la visita al santuario originale, appunto quello di Lourdes. Non ne è, comunque, una copia, ha una valenza propria che Giovanni Paolo II volle riconoscere insignendo questa chiesa matesina del titolo di Basilica Minore. Il Santuario dell’Addolorata, come è meglio conosciuto quello di Castelpetroso, è al fianco del tratturo Pescasseroli-Candela il che la dice lunga sull’afflusso dei pellegrini i quali si muovono rigorosamente a piedi. I tracciati adoperati per la transumanza sono lunghissimi collegando l’Abruzzo alla Puglia e di essi si avvale la frequentazione di importanti santuari quali quello di Montesantangelo e quello di S. Nicola di Bari, raggiungibili tramite la fitta rete di tratturelli che collegavano le “poste” assegnate ai transumanti al momento del loro “sbarco” nel Tavoliere in attesa di ottenere le “locazioni”, i terreni in locazione appunto dove trascorrere l’invernata, tante collocate nelle Murge. Non c’erano nell’antichità se si escludono le Consolari romane direttrici viarie continue di chilometraggio rapportabile a quello dei tratturi.
Altri santuari di portata anch’essi transnazionale sono raggiungibili, in genere, intersecando più itinerari stradali, non seguendo un’unica via; siamo di fronte, poi, a tragitti che variano a seconda delle condizioni meteorologiche causa a volte di frane o inondazioni capaci di provocare l’interruzione di quel determinato percorso. Si parla per le percorrenze delle epoche andate, poiché intercambiabili, piuttosto che di strade di una fascia di mobilità, fasci di canali di mobilità, entro la quale ricercare il tratto viario al momento percorribile. Le uniche vie di pellegrinaggio “stabili” sono le piste armentizie perché le sedi dei tratturi essendo demanio regio un bene di grande valore economico sono stabili. Punti fermi nel viaggiare sono le strutture ospedaliere che forniscono assistenza ai viandanti come l’ospizio, ha la stessa radice di ospedale, che c’era un tempo accanto alla chiesa rurale di S. Maria delle Fratte a S. Massimo costruita dall’Ordine dei Cavalieri di Malta, un ordine cavalleresco per l'appunto ospedaliero. Vi doveva essere una sequenza di simili attrezzature distanziate fra loro. S. Maria delle Fratte è un sito strategico perché qui virtualmente si toccano il sentiero di attraversamento del Matese e il tratturo. Ovviamente al santuario ci si reca da una pluralità di orizzonti per cui non vi è una traiettoria e basta da seguire, ci si incammina dove si può rimanendo i cammini privilegiati la via Micaelica e la via Francigena.



