Francesco Morgillo ci offre in appendice al suo lavoro fotografico un glossario delle principali figure retoriche che in questo intervento ci proponiamo di sviluppare. Le definizioni che ci elenca Francesco sono tratte da un dizionario enciclopedico ed esse sono solo alcune di quelle ricomprese nella cosiddetta arte della Retorica la quale nasce in età antica e si sviluppa soprattutto nel XVII secolo applicata alla letteratura, ma essa può essere utilizzata pure per le immagini come ci propone questo fotografo. In definitiva la Retorica come scienza del linguaggio è una disciplina che attraversa addirittura i millenni e ogni manifestazione artistica. Inoltre va detto che essa costituisce un metodo per analizzare i testi, nella consapevolezza, però, che si ferma allo svelare il meccanismo compositivo non potendo basarci esclusivamente su tale lettura per la comprensione del significato dell’opera, sia questa una pagina letteraria sia, invece, un dipinto o una foto. Qualsiasi espressione figurativa, tra cui sono comprese le fotografie, richiede piuttosto una ricerca, per farne emergere la significatività, sui rimandi che essa contiene ad altre immagini dalle quali trae citazioni: queste possono essere intese come il substrato linguistico con il quale l’artista si confronta, le « parole » (le quali non esisterebbero se non ci fosse la « lingua », appunto il patrimonio di immagini che è sedimentato in noi) che egli utilizza. Per proseguire, senza un linguaggio condiviso non è possibile, per nessuno, esprimersi ed ad esempio si porta l’arte astratta che non viene capita da quanti non conoscono l’evoluzione che sta caratterizzando la pittura nel periodo contemporaneo, l’ampliarsi del campo figurativo che non include, ormai, solo rappresentazioni realistiche. Tutto quanto adesso evidenziato è per dire che con l’applicazione delle regole della retorica, indubbiamente utili per avvicinarsi alla decifrazione dei componimenti, non si esaurisce di certo l’impegno critico. In verità la retorica non nasce per interpretare le opere, bensì per costruirle tanto che le sue leggi in passato venivano insegnate a scuola e autori come Cicerone nello scrivere i loro brani, le celebri Orazioni, ne erano ben consapevoli. Francesco, continuiamo a chiamarlo così per la familiarità, di certo non se ne è servito per decidere le inquadrature, ma le sfrutta per il lavorio critico che egli non cessa mai di effettuare sulla sua stessa produzione artistica per migliorare il “mestiere” che ha scelto; va sottolineata, per inciso, la novità costituita dall’applicare la retorica alla fotografia. Riprendiamo ora il discorso su quali figure retoriche si individuano in questo catalogo fotografico.
Partiamo dall’« anomalia »: è una anomalia il quadro raffigurante la testa di Gesù sorretta da un prete perché il posto di un quadro è il muro, anche se è pure un « rimando » in quanto esso si sovrappone, nascondendola, alla testa dell’uomo che lo sostiene. L’ « inversione » è quella della vespa sul ballatoio, inversione dell’ordine normale delle cose che ci si aspetta perché le moto sono, in genere, parcheggiate su una strada, in un cortile, luoghi che sono situati più in basso di un ballatoio. L’ « enfasi » la si coglie nell’immagine della motocicletta posta sulla porta di un meccanico quale insegna. Per porre l’enfasi su una cosa è necessario diminuire l’importanza di qualcosaltro, appunto l’ingresso all’officina. Per quanto riguarda l’enfasi occorre avvertire che porre enfasi su un oggetto senza che questo sia significativo, produce semplicemente noia, così come l’eccesso di enfasi crea confusione, cosa che in Retorica si chiama « cacofonia ». Tra enfasi e « esagerazione ». poi, vi è poca distanza: il trombone che copre il volto di un musicante, è un’altra foto, può essere inteso alla stregua di una esagerazione di strumento musicale. Vi è una figura che è la « parte che sta per il tutto » la quale la si ritrova nel poster spezzato con metà faccia di ragazzo oppure nel traliccio di legno con un piede monco. La parte che sta per il tutto è diversa da « parte di una cosa che sta per la cosa stessa », il cappello di paglia che occulta l’uomo intento alla vendemmia, e da « cosa che sta per un’altra », la gabbia per uccelli aperta che è il simbolo della fuga, della libertà, figura retorica quest’ultima che si può tradurre nel trasferimento di significato da una cosa ad un’altra e che è molto vicina al senso della parola « metafora » (la donna visibile controluce attraverso il telo, immagine che vuole comunicare il lavoro femminile che è anche quello di lavare i panni). Sfumature di significato distinguono pure la «personificazione», che è quella di identificare il non umano con l’umano, il cui esempio è la sedia di paglia appoggiata in modo inclinato alla parete della casa in quanto fa pensare alle vecchie sedute sull’uscio delle proprie abitazioni, e la «materializzazione» che è quella del vento che muove nelle due fotografie affiancate la tenda della finestra e la coda del cavallo.
L’elenco delle figure è lungo: l’ « umanizzare qualcosa che era prima selvaggio », il cane sul quale la luce filtrata dalla seduta della sedia disegna una fitta rete di puntini luminosi, quasi un elemento di arredo, il «cambio di scala», la ranocchia posta sul palmo della mano, la « gerarchia », o meglio l’assenza di gerarchia come si vede nelle foto in cui è ritratto un tronco d’albero in primo piano dove non c’è alcuna sequenza che precede quella cosa la quale, partendo da un definito punto di inizio, produce una progressiva intensificazione di significato. A questo proposito, quello della sequenza, si deve fare accenno alla questione della « ripetizione », la quale rischia di diventare a volte « ridondanza », che si coglie nei due alberelli piegati dal vento sullo stesso lato, ripetizione che senza variazione assume carattere monotono. La ringhiera con aste rettilinee ad interasse regolare fa pensare al “ritmo” o sequenza continua. La scala a pioli protesa verso il cielo è vista in prospettiva: anche qui c’è il sapore del ritmo. L’ « antitesi » è una sorta di contrapposizione: l’edera, elemento naturale, che esce dalla porta sfondata, fatto antropico. L’antitesi è diversa dal « contrasto » individuabile nella breccia aperta nel muro di cinta, che è tanto più potente quanto più è esteso, e pure omogeneo, l’elemento cui ci si contrappone. Non si prosegue oltre al fine di avere lo spazio per accennare al tema del DOUBLE TALK, che è quello del confronto tra due immagini: anche per tale aspetto è possibile trovare leggi della retorica, quale quella, che si cita come esemplificazione, della « variazione sul tema », la porzione inferiore delle due donne che sostengono rispettivamente il quadro raffigurante il Cristo e il telo. In realtà nel succedersi delle immagini, non limitato a 2, vedi i fotogrammi di un film, esse acquistano un valore particolare in relazione al contesto dove sono collocate, al loro susseguirsi, al racconto che ne scaturisce e questo è un suggerimento per il prossimo lavoro di ricerca sulla iconografia di Francesco.
Comments