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1. Ministoria delle ferrovie molisane

La storia della ferrovia è un tema che non è di interesse, o almeno non dovrebbe, solo per gli appassionati di questo mezzo di trasporto, come gli “Amici delle Rotaie” tra i quali vi sono alcuni isernini, ma ha notevole rilevanza anche per chi si occupa dell’evoluzione storica del territorio. Pure di un territorio, quello molisano, in cui le linee ferroviarie sono poche. Partiamo dall’inizio, anzi dal periodo che immediatamente precede la nascita delle strade ferrate la quale è coincisa pressappoco con la formazione dello Stato unitario; siamo nell’Italia suddivisa in numerosi staterelli, uno dei quali è il Regno delle due Sicilie cui apparteneva il Contado di Molise. Questa frammentazione non favorisce certo l’affermazione di un sistema di comunicazioni a lungo raggio, facendo capo la viabilità alle singole entità statali senza che vi sia un coordinamento interstatuale. Si parla di strade non intendendo comprese in esse le strade ferrate perché queste cominciano a prendere piede dopo l’Unità d’Italia; in verità è proprio alla monarchia borbonica che si deve la costruzione della tratta ferroviaria più antica del nostro Paese, ma il fatto che ricade in un’unica realtà istituzionale, i 36 chilometri tra Napoli e Portici, non smentisce quanto detto sopra relativamente alla debolezza dei collegamenti tra ambiti territoriali appartenenti ad autorità governative differenti.

Passando ora a questa regione vediamo che nei decenni successivi all’unificazione dello “stivale” si ha la realizzazione di due importanti assi ferroviari di interesse super regionale, dei quali uno, quello costiero, è addirittura di scala nazionale, la Napoli (o Roma)-Carpinone-Sulmona e la linea che dalla Puglia, cioè dal Sud, porta al Nord costeggiando l’Adriatico. Fondamentale, dunque, per tenere insieme, perlomeno la sua fascia costiera, la nuova Nazione appena costituitasi. Per quanto concerne la prima delle due direttrici, chiamata anche transappenninica, va rimarcato che essa, seppure di gittata più corta, è ugualmente essenziale perché lega comprensori i quali essendo montuosi sono percorribili con molto disagio per cui tendono all’isolamento. La politica ferroviaria del Governo italiano di quegli anni non si preoccupa solo di permettere gli spostamenti fra le diverse parti dello Stato, occupandosi pure di quelli interni alla regione: abbiamo così la nascita della Termoli-Campobasso che dal capoluogo regionale prosegue in direzione Napoli lungo la valle dell’alto Tammaro, tratta alla quale si ricongiunge, a Boscoredole, la ferrovia che aveva raggiunto Carpinone distaccandosi da tale paese con un percorso che attraversa l’importante centro di Boiano. Sono, come si può vedere, pochissimi gli scambi, li si ripete Boscoredole, Carpinone e Termoli dove si incrocia la Lecce-Bologna, per cui non si può parlare di una rete ferroviaria molisana non venendo a formare una maglia di vari tronchi e, del resto, sarebbe inappropriato definire così l’articolazione dei tracciati descritta non essendo estesa all’intera superficie regionale. È piuttosto il sistema ferroviario del Molise una sommatoria di tracciati ognuno concepito per una propria finalità, senza che si colga una logica complessiva. Lasciamo per un attimo da parte il tema dei fini per precisare che il reticolo del trasporto ferroviario è determinato oltre che dalla interconnessione delle strade ferrate, dalle cosiddette coincidenze, vale a dire dal tempo programmato ad una fermata per trasbordare in un altro treno, lunghissimo nella cittadina adriatica per chi giungendo da Campobasso è diretto, mettiamo, verso Milano. La rete, se vogliamo continuare a chiamarla così, ha da circa un decennio perso un pezzo poiché è stata disattivata la Carpinone-Sulmona, giudicata un”ramo secco”.

Riprendiamo la questione degli scopi dei singoli tragitti, anche perché non si coglie alcuna impostazione unitaria, evidenziando che la Campobasso-Termoli è legata alla richiesta degli agrari, un partito forte nel medio Molise, unità sub-regionale granaria per eccellenza, di portare cereali al porto da cui viene trasferito, mediante imbarcazioni, ovviamente, alle località marittime sede di mercato del prodotto, mentre la Sulmona-Carpinone che ricalca parzialmente una pista tratturale è voluta dagli armentieri abruzzesi e altomolisani per condurre velocemente, in sostituzione della transumanza, le pecore ai pascoli del Tavoliere. Il treno, in definitiva, sembra funzionale alla movimentazione delle merci piuttosto che dei passeggeri. All’epoca, che è precedente all’avvento dell’automobile, la ferrovia è davvero competitiva con la viabilità carrabile in quanto mancavano ancora i camion. C’è un ulteriore aspetto che rende conveniente la ferrovia il quale è paradossalmente connesso con un handicap tecnico del treno che è l’incapacità di superare dislivelli forti il che impedisce ad esso di salire sulle alture dove generalmente stanno i nuclei insediativi; tale limite tecnologico lo obbliga a correre quanto più in piano possibile e ciò se è un problema perché il percorso taglia fuori i centri abitati si rivela, nello stesso tempo, un vantaggio, se non due, potendosi aumentare la velocità se i binari poggiano su un sedime piatto e considerando che la planarità si associa alla rettilineità si ha di conseguenza la riduzione delle distanze. Per rendere pianeggiante il tracciato sono indispensabili gallerie e ponti, opere che richiedono investimenti cospicui, fondi che, negli stessi anni, non vengono stanziati per le arterie ordinarie; bisognerà attendere il secondo dopoguerra per l’ammodernamento delle infrastrutture stradali. Non per la loro manutenzione costante, pur essendo essenziale un patrimonio viario efficiente per il traffico locale, vantaggioso com’è il treno, in passato per il trasporto pesante, per le lunghe percorrenze e meno oggi per gli spostamenti pendolari. Dal momento in cui la Regione ha conquistato competenze nella gestione del traffico ferroviario dentro i suoi confini amministrativi si è ripreso a ragionare sui viaggi aventi mete ravvicinate. A svolgere il servizio dei treni accelerati i quali pur se con destinazione finale extraregionale prevedevano un numero di fermate maggiore di quelli odierni, sostando nelle stazioni di tutti i Comuni, sarà nel Molise Centrale la Metropolitana Leggera che rispetto ai suoi predecessori è stabilito che abbia una frequenza superiore delle corse. Si tratta di treni-navetta, e l’applicazione di questo concetto innovativo di ferrovia è appropriato per aree aventi una certa densità di popolazione, tipo il circondario di Campobasso.

2. La comparsa della ferrovia nel Molise

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Le ferrovie sono nate in Inghilterra all’affacciarsi del XIX secolo e poi si sono diffuse nei principali Stati del continente. Tra questi vi è l’Italia, solo che qui fino all’unificazione della nazione l’estensione delle linee ferroviarie era assai inferiore a quella del resto dei Paesi europei dotati di strade ferrate. Ci sono ragioni politiche in questo ritardo, la Penisola era divisa in 7 unità statuali il che rendeva i collegamenti fra le varie partizioni del suolo italiano di minore interesse, la mobilità interstatale non era una priorità, contava di più di quella infrastatale del singolo staterello. Ci sono, in aggiunta, ragioni geografiche poiché l’Italia, salvo la Pianura Padana e il Tavoliere, presenta un territorio accidentato con molteplici ostacoli fisici che costituiscono impedimenti al passaggio dei binari, mentre l’Europa continentale ha una maggiore quantità di superficie pianeggiante. Lo Stivale è deficitario nel suo complesso di ferrovie e a questo deficit concorre in maniera significativa il Regno delle Due Sicilie che ha solamente 140 chilometri di strade ferrate, anche se ha i primi 38 chilometri italiani, la Napoli-Portici.

Alla fine del governo borbonico il Molise non aveva nessuno di quei 140 chilometri, è solo con il 1861 che iniziò la storia delle ferrovie nella nostra regione. La Provincia, di un tempo, molisana risultava penalizzata in riguardo alla dotazione di strade ferrate poiché la sua sezione trasversale, quella che va da nord a sud, è davvero minima, 36 chilometri e i tracciati ferroviari principali costruiti dopo l’Unità d’Italia vanno proprio da settentrione a meridione. L’obiettivo era, infatti, unire il nuovo Stato il quale, almeno nella sua porzione peninsulare, ha una forma lunga e stretta con la lunghezza nettamente alla larghezza. Il Molise che è posizionato fra l’Alta Italia e la Bassa Italia, come si diceva allora, è interessato da questi assi di trasporto ferroviario, ma solamente per un breve tratto. Furono sfruttati per il transito dei treni le uniche strisce pianeggianti di una certa consistenza e, peraltro, disposte in continuità fra loro le quali stanno lungo le coste, la morfologia territoriale dell’interno è troppo tormentata. Il treno passa, perciò, sulla costiera, per quanto riguarda noi, adriatica, che ha una tipologia di costa bassa, adatta allo scopo della quale un segmento, davvero corto, è il nostro. Ai fini dell’integrazione nazionale, le ragioni della politica, è poco significativa la costruzione di binari nella direzione est-ovest i quali sarebbero serviti meno ai fini del raccordo dei domini pre-unitari, e pure nel Meridione che rientrava totalmente nel reame napoletano, dall’Adriatico al Tirreno era il medesimo Stato, non c’era niente da unire. C’è, poi, da considerare, le ragioni della geografia, che si interpone tra i due mari la catena appenninica la quale costituisce una barriera impenetrabile salvo che in alcuni varchi. Uno di essi è in uno dei terminali della montagna matesina che è la valle del Volturno che sta in mezzo tra questo massiccio e le propaggini dei monti del Parco Nazionale d’Abruzzo spezzando in due l’Appennino, l’altro è nel terminale opposto del Matese, tra quest’ultimo e il monte Taburno. All’altezza della fascia di Penisola nostrana è obbligatoria, in definitiva, il bypass del Matese (all’epoca non si parlava ancora del traforo del Matese!) per mettere in comunicazione le due opposte sponde del Mediterraneo. Quello della congiunzione tra l’oriente e l’occidente, limitandoci ancora a vedere come stanno le cose dalle nostre parti, è un problema che riguarda, ovviamente, tanto la mobilità su ferro che quella su gomma.

Talmente grandi sono le difficoltà per superare l’Appennino che si rinunzia, addirittura, a formulare ipotesi in riguardo se non quella non realisticamente praticabile del tunnel. Stando così la situazione i percorsi sia stradali sia ferroviari sono pensati, anche il progetto dell’Autostrada del Molise, in chiave regionalistica, un regionalismo beninteso, di necessità e non per scelta. Il Molise all’essere longitudinalmente, lo si è fatto notare prima, piccolo, dal confine con l’Abruzzo a quello con la Puglia è esteso poche decine di chilometri, perlomeno due delle tre sezioni, ognuna è un terzo del territorio regionale, nelle quali usualmente si scompone, il Medio e il Basso, la terza è l’Alto Molise, si contrappone l’essere trasversalmente, quindi dai rilievi appenninici al litorale ampio. È un’ampiezza maggiore di quella delle altre regioni adriatiche in quanto qui l’Appennino non coincide con l’asse mediano della Penisola bensì è spostato verso il Tirreno. Le due peculiarità geografiche appena sottolineate ci portano ad esprimere altrettante considerazioni, una per ognuna di queste peculiarità: per la prima, essendo il suo territorio parallelamente al Meridiano ristretto esso non può beneficiare abbastanza dell’attraversamento delle grandi linee ferroviarie sovraregionali le quali corrono da sopra, il Nord Italia, a sotto, il Sud Italia, quasi per statuto. Tanto di quella litoranea, esistente, della quale, è interessante osservando, la Puglia per la sua conformazione lunghissima nel senso nord-sud si avvantaggia tantissimo, quanto di quella, allo stato di ipotesi che dovrebbe solcare il Molise nella zona collinare, appunto la “transcollinare”, un sogno non avverato, il cui naufragio è certificato dalla riduzione a “ramo secco” della Carpinone-Sulmona la quale ne sarebbe dovuta diventare una tratta. Per la seconda peculiarità geografica di cui sopra la relativa considerazione: la ferrovia locale, così possiamo definire la Campobasso-Termoli, fra l’altro la prima ad essere apparsa qui da noi, ha uno sviluppo chilometrico consistente che altrove le tratte ferroviarie mare-monti non hanno, anche questo un primato insieme a quello della longevità e della integrale molisaneità.

3. Il treno passa e se ne va, dal Molise

Si pensa abitualmente che siano state le superstrade la principale innovazione in termini di miglioramento delle comunicazioni e, nel medesimo tempo, il “segno” più deciso della modernità impresso sul paesaggio. Non è così, per quanto riguarda quest’ultimo appunto, perlomeno se le contestualizziamo rispetto al periodo nel quale sono sorte, in quanto esse sono apparse sulla scena, visiva, insieme ai nuclei industriali e alle dighe determinando una trasformazione Si pensa abitualmente che siano state le superstrade la principale innovazione in termini di miglioramento delle comunicazioni e, nel medesimo tempo, il “segno” più deciso della modernità impresso sul paesaggio. Non è così, per quanto riguarda quest’ultimo appunto, perlomeno se le contestualizziamo complessiva dell’assetto paesaggistico. Detto diversamente le fondovalli, del Biferno e del Trigno, non possono essere lette come elementi capaci di conferire nuovi significati, quelli dell’ingresso nell’era contemporanea, ai nostri panorami se non congiuntamente alle altre grandi attrezzature, lo si ripete, gli invasi artificiali e gli agglomerati produttivi, realizzate negli stessi anni ’70. Ben più forte deve essere stata la novità, a livello tanto di infrastrutture di trasporto quanto di incidenza (che, seppure poco appariscenti, sono evidenti) sui quadri percettivi, costituita dalle ferrovie all’epoca della loro realizzazione, quasi 100 anni prima.

Il treno è il veicolo che ci ha portato dentro l’epoca della motorizzazione finendo per essere messo in secondo piano qui da noi, a cominciare dagli anni ’60 del secolo scorso allorché si diffuse l’uso dell’automobile il cui acquisto era alla portata di molti grazie al “boom economico”. Il mondo nel quale la strada ferrata si introdusse non solo in senso metaforico, era rimasto immutato pressoché dall’età medioevale, mentre quello della super-strada carrabile seguiva l’avvento della televisione, degli elettrodomestici in genere, delle fabbriche ecc. ragione per cui il clamore che le nuovissime arterie suscitarono fu, ovviamente, inferiore. Nonostante non sia un’operazione, quella che stiamo per fare del tutto corretta, se per archeologico consideriamo qualcosa di ormai finito, ma qui non è così perché i binari originari sono ancora in uso, analizziamo la ferrovia come un esemplare di archeologia industriale. Nella specifica situazione molisana dove non si sono costruiti ulteriori tracciati, successivi a quelli ottocenteschi, ne vi è stato un sostanziale ammodernamento dell’armamentario ferroviario è lecito definire gli esistenti appartenenti al campo dell’archeologia industriale per la loro datazione remota, sempre ammettendo la forzatura sul termine archeologico. Una forzatura, a meno di non voler stravolgere del tutto il significato dell’espressione archeologia industriale, che non è possibile effettuare negli altri settori poiché, con l’eccezione delle centrali idroelettriche di S. Massimo e di Colli al Volturno, interessati da trasformazioni radicali sia degli apparati tecnologici che dei manufatti che ospitano l’attività conservandosi, al massimo, il sedime su cui è poggiata la fabbrica. In ogni caso la carica semantica di cui è dotata la ferrovia alla stregua di un bene culturale è elevata tanto nel caso in cui la si voglia includere tra le testimonianze di archeologia industriale quanto nel caso di volerla riconoscere quale supporto della prima industrializzazione della nostra regione, ribadendo che in ambedue i casi rimane eccezionale, va puntualizzato, la valenza paesaggistico – storica. Guardandola dall’angolatura appena proposta, quella della proto-industria, vediamo che la linea ferroviaria, anche se nata precipuamente per il trasporto di passeggeri, si è rivelata il complemento indispensabile degli opifici con le imprese che si localizzano presso le stazioni al fine di poter rifornirsi della materia da lavorare, dunque in entrata, e di poter spedire verso i mercati di sbocco i prodotti lavorati, dunque in uscita, tramite il trasporto su ferro.

Nel capoluogo regionale si installano in prossimità della stazione i mulini Martino e Ferro (quello della «città nella città») più per la necessità di spedire la farina per mezzo del treno che per ricevere il grano il quale è a chilometri zero trovandosi Campobasso al centro del medio Molise, comprensorio granario per eccellenza. Anche allo scalo ferroviario di Matrice c’è un mulino il quale è tuttora funzionante, ma adesso il trasporto è su gomma. Analoghe motivazioni sono alla base dell’ubicazione dello stabilimento per la produzione di laterizi della ditta Petrucciani vicino alla stazione di Ripalimosani, dunque fuori del centro urbano perché la scelta localizzativa è condizionata pure dall’esigenza di facile approvvigionamento della materia prima, l’argilla la quale proviene da una cava contigua (il materiale è caricato su una teleferica). Fabbriche di laterizio stanno nelle vicinanze della stazione anche a Baranello, Cantalupo e a S. Pietro Avellana, quest’ultima è posta sulla linea Carpinone – Sulmona, ormai diventata un “ramo secco”, fatto negativo non solo per i viaggiatori, ma pure per l’industria che non ha la possibilità di convogliare sul treno le merci; tale “vettore” non più tardi di qualche decennio fa era ritenuto il mezzo di trasporto più conveniente per le realtà produttive e così si predisposero il “passante” ferroviario del Consorzio Industriale di Venafro, mentre in quello di Campochiaro sono stati previsti dei binari cosiddetti morti, per il carico e scarico dei container che viaggiano su treno. Ci sono, poi, gli smistamenti che entrano proprio dentro le aziende quali quello della falegnameria Di Lello a Isernia e lo Zuccherificio. Soprattutto, utilizzare la ferrovia per queste come per altre esigenze è vantaggioso per l’ecosistema. Se non ufficialmente, la tratta che va da Campobasso alla costa è quasi in disuso (si spera che a seguito dell’ammodernamento il traffico riprenda), le corse dei treni essendo ormai sostituite dagli autobus, appunto sostitutivi. Rimanendo sul tema economico, spesso trascurato nel dibattito sul destino delle nostre strade ferrate è da ricordare la ferrovia privata Pescolanciano – Agnone, della quale sono stati addirittura divelti i binari, voluta dalla classe imprenditoriale di questa città che era un importante polo artigianale il quale necessitava di collegamenti moderni per espandere il commercio. Anche la Carpinone – Sulmona e la Campobasso – Termoli erano funzionali all’economia locale, la prima al trasferimento delle greggi in Puglia una volta abrogata la transumanza e la seconda a quella dei cereali del Molise centrale verso il porto, “caricatoio”, della cittadina adriatica. Oggi per tali linee si può immaginare un futuro legato al turismo. Specialmente la Carpinone - Sulmona per gli ambienti bellissimi che viene a toccare e la Pescolanciano - Agnone di cui rimane traccia del percorso per le escursioni. È da sottolineare, infine, che la rete ferroviaria non copre, né copriva, l’intera regione essendo escluso da questo servizio l’alta Valle del Volturno e la media e la bassa del Trigno, oltre a quella del Fortore per la cui costruzione si era speso molto, senza successo, il senatore Magliano.

4. Prima e dopo la partenza del treno

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Per trasporto ferroviario si intende il viaggio fatto con il treno trascurando di considerare ai fini di un giudizio su questa modalità di spostamento, sulla sua convenienza, ciò che avviene prima e dopo, prima della partenza del mezzo di locomozione e dopo l’arrivo dello stesso a destinazione. C’è sempre un prima e un dopo, anche in ferrovia. Non va inteso l’inizio della corsa con l’imbarco sulla carrozza né il fine-corsa con l’arresto del convoglio perché nei tempi di percorrenza vanno inclusi anche quelli che precedono la salita sul treno e quelli che seguono la discesa dallo stesso. Ciò che avviene innanzi allo start del treno è il raggiungimento della stazione dalla propria abitazione o, all’incontrario, dal luogo di lavoro oppure dal posto in cui ci si è recati per acquisti, visite mediche, ecc. e viceversa allorché si giunge allo scalo ferroviario di approdo, il come back. Si possono definire questi due tragitti, rispettivamente, il primo miglio e l’ultimo miglio. Per capire bene la problematica della tempistica per raggiungere la stazione occorre analizzare la sua posizione rispetto all’insediamento abitativo limitandoci, ovviamente, ai centri abitati maggiori gli unici in cui la strada ferrata tocca l’insediamento abitativo. Di regola la linea ferroviaria è ai margini, tangente all’abitato, venendo a costituire una barriera alla sua espansione dal lato dove vi è la tangenza.

È la condizione più favorevole, succede così a Boiano dove l’ingresso in città è condizionato dall’apertura o meno di un passaggio a livello; vi è una serie di costruzioni che si sviluppa all’esterno del nucleo urbano in direzione Monteverde, oltre questo ostacolo, ostacolo seppur movibile a tempo. La situazione più sfavorevole è quella di Campobasso in cui la stazione si trova ora nel suo mezzo in quanto si è avuta una crescita urbanistica impetuosa al di là della ferrovia; i popolosi quartieri di S. Giovanni de’ Gelsi e Colle dell’Orso si congiungono alla parte centrale del capoluogo regionale, se si escludono il transito o raso dei binari in via Mazzini, e la strada subordinata al ponte ferroviario in prossimità del carcere, con un sottopasso e un sovrappasso ambedue pedonali l’uno sottomesso alla stazione, l’altro che la scavalca. Quelli sopra descritti sono i due casi ricorrenti, il primo, Boiano, riguardante i comuni di taglia media, il secondo, Campobasso, quello delle entità insediative superiori che ci fanno comprendere le difficoltà che è possibile incontrare per arrivare alla stazione in tempo. È frequente, salvo che non si abiti proprio a ridosso dello scalo ferroviario o in un raggio misurata in termini temporali ottimale di 15 minuti a piedi dallo stesso, andare alla stazione in auto, da noi non sono così frequenti le corse dei bus (la massa critica dei viaggiatori che ne giustifica la frequenza è ridotta perché le dimensioni demografiche delle nostre realtà urbane sono contenute).

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Se si va con l’automobile propria alla stazione è necessario che vi sia un parcheggio nelle vicinanze dove lasciarla il quale specie se si sta via per più giorni è bene che sia custodito, cosa che generalmente è difficile trovare nei centri minori. Necessiterebbe di certo a Termoli in caso di trasferte plurigiornaliere da noi è frequente che il viaggiatore venga accompagnato allo scalo ferroviario da un parente o un amico, in particolare se ha valigie al seguito, in macchina e allora basta un semplice stallo per il mezzo dell’accompagnatore, stazionamento che dura il tempo sufficiente per lo scarico dei bagagli auspicando che i convenevoli di rito per la partenza siano avvenuti già durante l’itinerario automobilistico.

Finora abbiamo parlato del primo miglio e adesso tocca affrontare la questione dell’ultimo la quale ha tanto in comune con la precedente in riferimento all’ubicazione della stazione e però dalla quale diverge in quanto la stazione non è più il punto verso il quale convergere, bensì, all’opposto, quello da cui ci si muove per raggiungere le varie mete, finali, della trasferta. Ovviamente SI parla delle stazioni nostrane non dello “sbarco” nelle metropoli in cui ci rechiamo. Non c’è l’auto di proprietà ad attenderti, a meno che non si sia di ritorno nel comune di residenza, né l’amico ad aspettarti per il trasbordo “armi e bagagli” sulla sua autovettura essendo nella località in cui sei pervenuto un forestiero. Ti tocca affidarti al servizio per la mobilità cittadina mettiamo i taxi tenendo conto però che il presidio del piazzale della stazione da parte dei tassisti non è permanente, sempre quando c’è, nei piccoli insediamenti. Tra piccoli e grandi problemi il Molise ha anche questo che è piccolo solo perché siamo di fronte a comuni piccoli. Se mancano pure gli autobus sei costretto ad incamminarti con le tue gambe verso la destinazione prefissata. La progettazione dello scalo ferroviario dovrà tener conto di questo fabbisogno differenziato di parcheggio. Un po' meraviglia, ciò vale per ambedue le “miglia”, che nella redazione dei piani regolatori dei capoluoghi di provincia nel posizionare, mettiamo, le sedi delle amministrazioni pubbliche di livello provinciale o di regione, non si sia tenuto conto del loro distacco dallo scalo ferroviario. In verità, a Campobasso non è stato propriamente così perché nel suo strumento urbanistico la Zona Direzionale, cui sarebbe dovuta affluire gente anche di fuori comune, era prevista in adiacenza, a valle, ai binari. Per quanto riguarda la città principale del Molise con il progetto della Metropolitana Leggera sono in avanzato corso di realizzazione ben altre due stazioni ai due lati di quella che sarà legittimo chiamare centrale, ciascuna di queste baricentrica a una circoscrizione municipale al fine di favorire l’accessibilità alle attrezzature collettive variamente dislocate tra cui le attività commerciali da parte che chi sopraggiunge in città dal resto del territorio regionale, così come di facilitare ai residenti l’utilizzo di questo mezzo di trasporto.

5. I rami secchi della rete ferroviaria molisana e il suo tronco

Le logiche delle principali linee ferroviarie molisane, quella costiera e la Campobasso-Roma sono diverse, la prima ha lo scopo di congiungere i centri del Nord a quelli del Sud della Penisola, la seconda quello di collegare la “capitale” del Molise con la capitale d’Italia e, però, hanno in comune un connotato significativo, la linearità. Questo andamento rettilineo ha la sua giustificazione nella necessità di ridurre il chilometraggio del viaggio e così i tempi di percorrenza. Nello contempo va evidenziato che la rettilinearità della strada ferrata è consentita dalla particolare morfologia dei luoghi che attraversa, è una fascia pianeggiante tanto la striscia litoranea quanto le vallate sottostanti al massiccio del Matese per cui, in questo secondo caso, la ferrovia che le attraversa può essere definita una ferrovia pedemontana. Sia lungo l’Adriatico sia lungo le piane matesine si legge una continuità nella distribuzione degli insediamenti abitati e ciò fa si che questi tracciati si rivelino funzionali anche al traffico locale, non solo alla connessione tra le varie parti del territorio nazionale, la ferrovia adriatica, e tra il capoluogo di regione e Roma.

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Per quanto riguarda quest’ultimo tracciato è vero che la funzione primaria è quella, la si ribadisce, di legare le due polarità superiori, a livello molisano Campobasso e a livello dell’intera nazione Roma, è solo accessorio il collegamento intraregionale. Lo si dice nuovamente l’obiettivo di tale ferrovia è di unire questi due centri, se non vi fosse questa ragion d’essere non vi sarebbe il trasporto su ferro nell’ambito regionale mediano, il flusso dei passeggeri sarebbe troppo scarso. Si è evidenziato che quello interamente nostrano, la Campobasso-Roma, è una tipologia ferroviaria in linea anche se, è doveroso sottolinearlo, si coglie pure un accenno di radialità, unicamente tre raggi, la Campobasso-Roma, la Campobasso-Benevento e la Campobasso-Termoli, con il perno costituito dalla nostra maggiore città. Tutto questo impianto risale a quasi un secolo e mezzo fa e da allora poco è cambiato, non sono stati costruiti altri tratti di rotaie, piuttosto se ne è dismesso uno, la Carpinone-Sulmona. Ci si è concentrati su un’unica linea, la più forte, abbandonando pressappoco l’altra, più debole. La Carpinone-Sulmona serviva l’Alto Molise dove vi sono le condizioni per ampliare la rete ferroviaria (altro che abbandonarla!) in quanto qui gli aggregati antropici sono compatti, mancano infatti le case sparse in campagna in quanto rimarrebbero isolate causa neve nei lunghi inverni di questo circondario montagnoso; ciò favorisce tale modalità di spostamento collettivo essendo il punto di raccolta dei viaggiatori, cioè la stazione, di facile accessibilità da parte degli abitanti del borgo.

La ferrovia soffre quando vi è la polverizzazione insediativa. Invece la spesa in questo settore non è stata mirata a rilanciare il troncone ferroviario altomolisano bensì a rafforzare la linea centrale della nostra terra mediante alcune innovazioni infrastrutturali come l’elettrificazione la quale, però, ancora non va in porto. Vi è stato, poi, il miglioramento dei vettori, ovvero i treni, a partire dall’introduzione del Minuetto; il convoglio ferroviario ha così acquisito un’immagine qualitativamente elevata, il treno non viene più considerato come un mezzo di trasporto obsoleto, al contrario tecnologicamente avanzato, non un qualcosa di superato, non più un veicolo, su binari, per i poveri. I rafforzamenti suddetti si sono resi indispensabili per tentare di sostenere la concorrenza dell’automobile la quale, nell’epoca che stiamo vivendo della motorizzazione di massa, è assai forte poiché in grado di soddisfare le esigenze di mobilità di una popolazione in larghi distretti territoriali dispersa nell’agro. Abbiamo discusso del vecchio e adesso vediamo il nuovo. Tra le misure recenti messe in campo per valorizzare il traffico ferroviario vi è la Metropolitana Leggera.

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Ci soffermiamo sui punti di sosta della stessa perché rappresentano delle autentiche novità rispetto a quelli tradizionali non coincidendo più con le stazioni ma con le fermate. Il limite grosso delle fermate è che non essendo degli edifici bensì una semplice pensilina non hanno sale d’attesa oltre che, di certo, biglietteria, locale per deposito bagagli, bar, buffet e via dicendo il che significa che l’utente della metropolitana è al freddo, cosa tollerabile unicamente in considerazione del fatto che i tempi d’attesa, dato che sono previste ben otto corse al giorno, dovrebbero essere contenuti. L’opera più costosa nella realizzazione delle fermate della Metropolitana Leggera è stata il sottopasso il quale si spera possa servire tanto per raggiungere i binari situati nel segmento opposto della piattaforma rispetto all’entrata quanto per ricongiungere i due lati del percorso su rotaie le quali oggi costituiscono una barriera invalicabile. Vista l’automatizzazione non c’è più bisogno di personale a presidiare le soste dei treni per cui diventa inutile l’alloggio degli addetti collocato nell’immancabile secondo livello del fabbricato stazione di un tempo, una ragione in più per rinunziare all’edificazione dello stabile. Motivi sacrosanti anche se un po' dispiace che si arrivi ad abolire un “segno” architettonico che caratterizzava la composizione urbanistica della piazza che antecede la stazione, appunto la “piazza della stazione” vedi quella dei due capoluoghi di provincia. Le attuali stazioni di Vinchiaturo, Baranello, Guardiaregia, Campochiaro, S. Polo poste lungo il tragitto della Metropolitana Leggera dovranno giocoforza riconvertirsi in altri usi.

6. Stazioni e strade ferrate

Noi oggi nel Molise concepiamo le stazioni solo in funzione del trasporto dei passeggeri. In passato non era così, si pensi a quella di Campobasso vicino alla quale si erano localizzati i grandi mulini della celebre tradizione mugnaia di questa città, vicinanza che riduceva i tempi di carico e scarico, in partenza della farina, in arrivo del grano. Vi era un'impresa molitoria, è il Mulino Martino, addirittura attaccata al parco ferroviario, prossimità un tempo vantaggiosa e ora, una volta sfruttata la volumetria per ricavarne residenze in quanto non più utilizzato quale impianto industriale, è diventata svantaggiosa a causa dei fumi e dei rumori dovuti alle operazioni di sosta di avvio dei convogli ferroviari.

A Isernia, l'altro capoluogo di Provincia, la falegnameria Di Lello era servita da un binario che correva lungo il corso Garibaldi per ricevere il legname grezzo, e spedire quello lavorato, su treno. Gli stabilimenti per la produzione di laterizi sono sempre stati collocati vicino al luogo di reperimento della materia prima, la cava di argilla, per cui stanno in zona rurale; essi condizionano l'ubicazione delle stazioni, non il contrario come abbiamo visto nella "capitale" del Molise, e per esse si può dire che l'utilizzo per il trasporto dei passeggeri è una cosa succedanea, non primaria.

Si citano i casi delle fabbriche di mattoni di Baranello, S. Pietro Avellana, Ripalimosani, Cantalupo. A partire dagli anni ’70 nel secolo scorso vi è la deliberata volontà di allontanare le attività produttive dei centri abitati provvedendo a concentrarle in apposite aree attrezzate; la dipendenza dalle stazioni si allenta realizzando "passanti" ferroviari, cioè diramazioni della strada ferrata che portano direttamente a tali nuclei industriali e ciò succede a Pozzilli e a Campochiaro, ma pure a Guglionesi dove, però, l’unità produttiva è, appunto, una, lo Zuccherificio. La localizzazione delle fabbriche non asseconda il tracciato ferroviario perché è quest'ultimo che devia per raggiungere tali fabbriche. Esse non sono più in linea con, per l’appunto, la linea ferroviaria, non sono loro a mettersi vicino alla strada ferrata bensì è questa ad avvicinarsi ad esse con il predetto passante; le manovre dei treni merci mentre entrano ed escono dall’agglomerato produttivo sono facilitate, è un inciso, dalla potenzialità del locomotore che prima non aveva di muoversi in entrambi sensi di marcia, per intenderci come le funicolari; a dispetto del fatto che si chiami passante non vi è un ingresso e un’uscita ma è un unico braccio. In queste situazioni di passeggeri neanche a parlarne. I lavori per realizzare tali deviazioni sono gli ultimi interventi che hanno riguardato la rete ferroviaria molisana; stranamente hanno avuto ad oggetto il trasporto merci in quanto nonostante l'adeguamento dell'infrastrutturazione su ferro a loro favore le merci attualmente viaggiano pressoché del tutto su gomma. Merci o non merci, viaggiatori o non viaggiatori, la nostra regione è rimasta sostanzialmente al palo per quanto riguarda le attrezzature ferroviarie. Ciò che sta avvenendo oggi giorno a livello nazionale, la costruzione dell'Alta Velocità che è la principale opera pubblica contemporanea e ricorda quello che è successo negli anni ’50 e ’60 con la realizzazione dell’Autostrada la quale contribuì alla modernizzazione del Paese, non ha coinvolto il territorio molisano, le varie Frecce delle Ferrovie dello Stato lo sfiorano semplicemente, proprio come successe con l’autostrada. Il treno non fa per noi, preferiamo la macchina e ciò, del resto, è nelle cose. Per andare dal capoluogo regionale a Termoli, la seconda città del Molise, si impiega molto meno tempo in auto che in treno. In verità bisogna dire pure che, invece, i tempi di percorrenza sono simili lungo la direttrice di comunicazione centrale molisana, quella che da Campobasso passando per Boiano e Isernia porta a Venafro, in cui i binari sono affiancati alla superstrada. Le politiche attuali assecondano la tendenza in atto e lo dimostra la rettificazione delle curve tra Campolieto e Casacalenda lungo la vecchia statale Sannitica mentre si sarebbe dovuto procedere a migliorare la percorrenza dei treni nello stesso tragitto i quali, i pochi che continuano a circolare, non sono più competitivi con il mezzo automobilistico.

Per inciso si fa rilevare che il tracciato della ss. 87 meritava forse di essere salvaguardato in quanto, prima dell'ammodernamento, era nel contempo un percorso storico e panoramico. Il treno, per sopravvivere, deve imparare a convivere con le automobili le quali servono a raggiungere gli scali ferroviari di frequente distanti dal centro abitato, ma anche con gli aerei; nel Molise non vi è un aeroporto né vi sono collegamenti diretti, per quel che ci interessa, su ferro con quelli prossimi, Pescara, Foggia e Napoli. Ad ogni modo si sarebbe trattato di azioni per conquistare viaggiatori e non per il convogliamento delle merci per il quale i veivoli non sono proprio idonei. All'inizio il treno era alleato con la nave trasportando le derrate di grano dal Molise Centrale che ne era un gran produttore al "caricatoio", l'antecedente del porto, di Termoli dove veniva imbarcato su navigli con basso pescaggio, le uniche che possono attraccare qui essendo il fondale poco profondo. Questa tra Campobasso e Termoli fu la prima ad essere fatta nel Molise, non si sa se per pressione degli agrari, I produttori di cereali, mentre la successiva fu la Sulmona-Carpinone-Isernia-Boiano e poi diretta verso i centri pugliesi sede di approdo della transumanza la quale invece rispondeva agli interessi degli armentieri i quali così potevano servirsene per inviare le greggi, che un tempo percorrevano i tratturi, nel Tavoliere, un particolare tipo di mercanzia il che dimostra la versatilità del treno il quale si può trasformare in un carro-bestiame, un'opzione che arricchisce l'offerta di trasporto, la versatilità dei treni, che si rivela assai competitiva ancora oggigiorno.

7. La ferrovia Agnone-Pescolanciano

Per una volta siamo stati gli antesignani di qualcosa, questo qualcosa è la privatizzazione delle ferrovie. In verità siamo andati anche oltre alla situazione attuale nella quale la strada ferrata rimane pubblica e le compagnie ferroviarie che la utilizzano possono essere anche private, vedi Italo. La Pescolanciano-Agnone era di proprietà privata, sia il materiale rotabile, non la striscia di terra sulla quale si sviluppa il tracciato la quale è semplicemente concessa in comodato dai Comuni, sia il vettore, anzi la vettura, cioè la carrozza-passeggeri con la motrice, convoglio ferroviario che ha il nomignolo affettuoso di Colomba Bianca. C’è di più, è in mano privata, dello stesso gruppo imprenditoriale agnonese che ha realizzato la linea ferroviaria, anche la sottostazione elettrica che alimenta il trenino nel tratto più scosceso, a Pietra del Melo. Cose mai più viste almeno qui da noi; un treno privato nato per soddisfare le esigenze di spostamento degli imprenditori di Agnone, ma messo a disposizione di tutti. È stato un investimento economico sicuramente notevole anche se, va sottolineato, i binari non passano mai su ponti né vanno in galleria, opere d’arte assai costose.

Il suo avere le rotaie costantemente poggiate a terra fa sì che sia assimilabile a un tram, nel tratto in forte pendenza dove è mosso dall’energia elettrica ad un filobus (l’elettrificazione riguarda solo questo pezzo della linea). È da immaginare, dato che il percorso è costantemente a livello del cosiddetto piano di campagna, che fosse facile salire e scendere dal treno lungo tutto il tragitto proprio come una tranvia, le fermate sono comunque prefissate, non a richiesta. I nomi delle stazioni corrispondevano latamente con le località in cui ricadono, la denominazione più strana è quella data alla stazione che sta nella contrada S. Andrea di Pietrabbondante perché Bagnoli e Trivento, specie il secondo, i paesi indicati nella tabellonistica sono lontani da qui. Abbiamo parlato della percorrenza e ora ci tocca trattare i punti di inizio e di fine della Agnone-Pescolanciano, delle stazioni di, appunto, Agnone e Pescolanciano. Siamo di fronte a due tipologie di stazioni differenti. In un capolinea, Agnone, abbiamo una stazione di testata, un tipo di scalo in cui la corsa del treno obbligatoriamente si arresta, non c’è niente dopo, nell’altro capolinea, Pescolanciano, lo scalo è assimilabile ad una stazione di transito in quanto ci si ricollega alla ferrovia Carpinone-Sulmona, la prima, lo si è detto, privata, la seconda statale. A mettere in evidenza il fatto che il titolo proprietario è differente è la compresenza a Pescolanciano a breve distanza fra loro di due edifici per stazione distinti, ognuno con la propria biglietteria, sala d’attesa, abitazione del capostazione.

Due capistazione per un’unica stazione è una forte anomalia, due addetti alla regolamentazione del traffico ferroviario. Chi dei due è preposto al controllo dei semafori posti in fondo, negli opposti lati, all’area della stazione che si accendono per segnalare l’arrivo di un treno? Ma quale treno, quello per Agnone o quello per Carpinone? Non sono rimaste tracce di un eventuale, piuttosto improbabile, raccordo della strada ferrata per Agnone con la Carpinone-Sulmona e, del resto i binari della Pescolanciano-Agnone furono divelti durante la Seconda Guerra Mondiale; si coglie l’occasione per suggerire, dato che il sedime di quest’ultima linea ferroviaria non è stato occupato da manufatti, la sua trasformazione in un itinerario escursionistico. Ragionando per assurdo, se ancora funzionasse la Agnone-Pescolanciano e se fosse inserita nel sistema ferroviario nazionale troveremmo nello scalo di Pescolanciano una piattaforma riservata a questi treni privati distinta e, però, collegata con quella dei treni delle Ferrovie dello Stato. L’idea deve essere stata questa altrimenti perché Pescolanciano come terminale? È da notare, poi, che ci sarebbe stato da aspettarsi che la Colomba Bianca la cui creazione ha come promotori i medesimi soggetti che agli inizi del ‘900 fecero del capoluogo altomolisano un fiorente centro artigiano e commerciale avesse anche vagoni merci e un magazzino per le stesse in transito nel terminal di Pescolanciano e, invece no, è stato esclusivamente un treno-passeggeri. Per quanto riguarda la Carpinone-Sulmona essa prevede viadotti e gallerie a differenza dell’altra, specie i tunnel costituiscono una novità assoluta, niente di più moderno in quel periodo di questa linea ferroviaria. Pare quasi un disegno preordinato, l’Agnone-Pescolanciano serve un settore dell’Alto Molise, la Carpinone-Sulmona un altro, insieme le due linee coprono il territorio altomolisano quasi per la sua totalità.

I comuni che hanno in comune, non è un gioco di parole, le due ferrovie sopradette sono Pescolanciano, Vastogirardi e Capracotta. Di questi solamente a Pescolanciano si ha che le fermate coincidono seppure distanziate fra loro come si è visto. Nel resto dei casi non vi è un unico punto di arresto, ma siamo di fronte a differenti scali per uno stesso comune anche in condivisione con comuni viciniori per ciascuna delle linee ferroviarie. Capracotta, è l’esempio limite, ha due “mezze” stazioni, una metà di quella di Vastogirardi nella Pescolanciano-Agnone e una metà di quella di S. Pietro Av. nella Carpinone-Sulmona. Quindi agli inizi del XX secolo avevamo paesi con ben due stazioni, anzi tre poiché S. Pietro Avellana nel suo perimetro comunale ha anche la stazione Taverna sulla Sangritana.

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Si prendano i cittadini di quel vasto comprensorio della cosiddetta campagna campobassana, che va da S. Giovanni in Golfo fino a Campodipietra, rientrante nella Perimetrazione degli Insediamenti Abusivi che vogliano usufruire del trasporto ferroviario: per essi è conveniente prendere il treno se lo spostamento è di oltre 100 chilometri, mentre se è di lunghezza contenuta no. Infatti per qualcuno dei residenti della miriade di case sparse per molte delle quali si attende il condono della destinazione urbanistica e, però, abitate stabilmente non è di alcun interesse andare con il treno per mete vicine. Infatti bisogna innanzitutto raggiungere la stazione con l’auto propria in quanto essendo un’agglomerazione edilizia ancora non “sanata” non è servita dai bus e per tale spostamento il tempo piuttosto che la lontananza è considerevole dato il notevole traffico cittadino specie nelle ore di punta, la stazione è nel cuore della città. Tale tempo va aggiunto a quello che impiega il treno per condurti a destinazione. In altri termini si deve sommare il tempo che impiega il treno a quello che si è impiegato per arrivare alla stazione di partenza. Per un percorso breve, mettiamo per andare a Boiano conviene muoversi con la macchina di proprietà sfruttando l’appena inaugurata Tangenziale Nord se si abita nella zona rurale predetta, che lo si ricorda si estende da S. Giovanni in G. a Campodipietra,

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il più significativo degli Insediamenti Abusivi; da tale arteria che si innesta sulla fondovalle Rivolo si raggiunge in breve la Bifernina e così si giunge nel capoluogo matesino in mezz’ora, diversi minuti di meno che con la combinazione veicolo privato più treno. Ovviamente tale ragionamento non vale per chi è privo di mezzo di trasporto individuale. L’ubicazione di una delle fermate della Metropolitana Leggera nei pressi del Quartiere CEP che è contiguo alla maggiore delle aree perimetrate come insediamenti abusivi, indicata più volte sopra, scoraggerà un simile modo di fare e incoraggerà il prendere il treno. Lo si sarà capito, le considerazioni espresse sono da ritenersi valide per tutti i circondari caratterizzati da dispersione insediativa, dei quali quello campobassano di cui si è discusso finora è il più esteso, purché rientrino nella, per così dire, sfera di influenza della rete ferroviaria. Lasciamo per un po' il tema del trasporto passeggeri e passiamo a quello merci.

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La citata Metropolitana Leggera serve nella sua percorrenza Campochiaro, Guardiaregia e S. Polo, ricadenti nel nucleo industriale questi due ultimi comuni, dove vi è uno scalo-merci mentre nel primo in vicinanza della ferrovia vi è un importante cementificio. Il discorso è questo: ai fini dell’elettrificazione della linea Campobasso-Roma è stato necessario provvedere all’adeguamento delle gallerie ampliandone la sagoma, non tanto però da consentire il passaggio dei carri-merce che trasportano merci voluminose oppure i camion caricati sui convogli ferroviari il che favorirebbe l’intermodalità. Senza l’ingrandimento delle sezioni dei tunnel la funzionalità dei nuclei produttivi rimane limitata. L’unica opera per quanto riguarda i collegamenti ferroviari che è stata fatta per attrarre le industrie ad installarsi qui è la realizzazione di un passante ferroviario nella stazione di S. Polo, ovvero un binario morto, poca cosa quindi, non basta di certo.

Al bivio viario di Guardiaregia che è lì vicino vi è un grande centro di smistamento dei componenti per impianti ad energia eolica, si tratta di logistica avanzata, che potrebbe diventare un interporto specializzato in tale ramo se fosse connesso alla rete ferroviaria; attualmente il vettore utilizzato per trasportare i pezzi dei pali eolici è l’autotreno non il treno. La scarsa appetibilità delle strade ferrate per portare le merci è causata, lo si ripete, dai numerosi trafori che risultano sottodimensionati resi necessari dalla morfologia prevalentemente collinare del territorio molisano. Le nostre prospettive di sviluppo industriale vengono sacrificate da tali “strozzature” nelle comunicazioni. Il vantaggio di avere le rotaie, come succede a S. Polo, che penetrano nelle Zone per l’Industria è in qualche modo limitato, limitato al convogliamento di prodotti finiti e materie prime non eccessivamente ingombranti, ma anche al trasferimento da casa al posto di lavoro della manodopera. Con la pendolarità dei lavoratori torniamo a parlare del traffico passeggeri. Metropolitana, con o senza l’aggettivo Leggera, è un termine appropriato per questo tratto della Campobasso-Roma poiché esso è connotato da un numero elevato di

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stazioni (molto superiore a quello che si ha in altre tratte ferroviarie della regione a parità di chilometri di rotaie), seppure lo spazio che intercorre tra la precedente e la successiva è dilatato rispetto a quello che separa le fermate di una metropolitana classica. La notevole quantità di stazioni quando la Metropolitana passa ai piedi del Matese, quindi per metà del suo tragitto, è dovuta alla particolare forma dello stanziamento umano in questo ambito sub-regionale; la ripartizione del popolamento antropico in piccoli comuni, solo Boiano è al di sopra dei 5000 abitanti, è dovuto alla suddivisione del massiccio montuoso dall’alto in basso in strette strisce coincidenti con i perimetri comunali dei borghi matesini. Tanti comuni tante stazioni peraltro equidistanti fra loro come succede nelle metropolitane ordinarie. La Metropolitana Leggera non viaggia in sede propria bensì sfrutta quella dei treni a lunga percorrenza per Roma o Napoli, dai quali si distingue per il minor quantitativo di carrozze, venendo ad assomigliare a un autobus su rotaie, uno dei tanti. L’autobus è da noi il nerbo del sistema di trasporto collettivo, ha la capienza ottimale per soddisfare la domanda di mobilità, sistema che dovrà includere la Metropolitana Leggera.

8. Strade in pianura per servire borghi in altura

La decadenza dell’impero romano portò con sé il deperimento dell’antica rete viaria. Nel medioevo doveva essere pressoché impossibile circolare specie in inverno, perché i tracciati erano pieni di buche e di fango. Mancando in questo periodo qualsiasi istituzione pubblica capace di assicurare la gestione delle infrastrutture, la manutenzione delle strade era lasciata a chi le usava. I percorsi viari prediligevano le dorsali sia perché i centri abitati serviti erano arroccati sulle alture sia perché così si evitava l’attraversamento dei corsi d’acqua che avrebbero richiesto la costruzione di ponti, un impegno troppo gravoso. Va, poi, considerato che le zone montane, predilette per il passaggio delle strade, erano sufficientemente stabili e non richiedevano la realizzazione di massicciate in quanto il terreno è qui solido, a differenza dei fondovalle dove è facile impaludarsi. Bisogna attendere l’ultimo periodo borbonico per avere strade carrozzabili al Sud, in ritardo rispetto ad altre parti d’Italia. Questo impegno dei Borboni nella viabilità è figlio dei tempi poiché gli Stati moderni danno grande importanza alle comunicazioni. Se prima i trasporti dovevano essere fatti a dorso di mulo per il miglioramento delle tecniche costruttive delle strade le spedizioni potettero avvenire anche con i carri (a 2 ruote, carretto, invece che a 4, perché non essendo le strade pavimentate l’eccessivo peso del carico sfondava il sottofondo viario).

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Solo dopo l’Unità d’Italia poterono comparire anche nel Molise mezzi di trasporto collettivo come le diligenze prima e i treni che correvano lungo le nuove «strade ferrate». Così come vennero costruite le ferrovie vennero pure costruite delle moderne strade realizzando numerosi ponti (sono esposti con orgoglio i relativi progetti nella sede dell’ex Genio Civile a Campobasso). Le infrastrutture stradali diventano progressivamente un elemento fisso del territorio, alla stregua dei fatti della natura quali i fiumi e le colline, e non più delle linee di passaggio incerte che cambiano a seconda delle stagioni come avveniva prima. All’poca la regione era caratterizzata da una maglia fitta di collegamenti interni, particolarmente efficiente per ambiti ristretti, mentre erano scarse le comunicazioni extraregionali. Quindi vi era una buona mobilità all’interno della regione che metteva in relazione fra di loro i centri urbani, ma essa essendo a raggio limitato non favoriva gli spostamenti con le regioni limitrofe e quindi con il resto della nazione. Solo a partire dagli anni ’70 del XX secolo si ha il sovrapporsi a questo sistema viario di nuove direttrici che assolvono al ruolo di asse di scorrimento veloce a servizio della comunità locale, ma anche a scala nazionale (la “bifernina” e la “trignina” sono le più importanti arterie realizzate). Le superstrade sono di fondovalle, appunto del Biferno e del Trigno e, perciò, pianeggianti; questa non è una novità per l’asse Venafro-Boiano il quale ricalca il tracciato di un’antica strada romana (che, poi, era la direttrice di penetrazione nel Sannio degli eserciti di Roma). Se si considera pure il tratto fino a Termoli si arriva ad avere che è a servizio di circa il 70% dei molisani e non solo, perché tale asta viaria collega fra loro i 3 principali agglomerati industriali, a ovest Pozzilli, al centro Campochiaro ed a est Rivolta del Re. Tanto che essi vengono chiamati assi di sviluppo, le due arterie che seguono il corso dei maggiori fiumi e quella che si sviluppa nella fascia pedemontana del Matese.

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Questi assi di servizio, pensati per i poli di sviluppo, i 3 che si è detto, nel loro svolgimento attirano a sé numerose iniziative produttive, commerciali e ricreative. È vero che la fiducia dei pianificatori sulla capacità automatica delle infrastrutture, tra cui quelle stradali, di indurre uno sviluppo complessivo dl territorio, pure delle sue aree interne, era mal posta, ma nello stesso tempo si riscontra che localmente, cioè al loro contorno, esse hanno contribuito alla nascita di una pluralità di attività economiche, non concentrate, bensì diffuse in un raggio territoriale esteso, esteso quanta è la loro lunghezza, effetto, peraltro non di poco conto. A cavallo tra i 2 millenni si è proceduto alla modernizzazione pure di alcuni, pochi, segmenti della rete di comunicazione collinare, si pensi alla Campobasso-Casacalenda a servizio delle zone cosiddette marginali, la quale se in passato era quella privilegiata per gli spostamenti, oggi soffre di una diminuita frequentazione, fatto che conduce a non curarne troppo la manutenzione. Per diverse strade minori, percorrendo le quali, poiché sui rilievi, si godono interessanti scorci sui paesaggi integri, non alterati, si potrebbe pensare, al fine di rifunzionalizzarle, di attribuire loro anche il ruolo di strade panoramiche attrezzandole allo scopo. Anche nei piani paesistici è presente tale indicazione. Oppure, in quei luoghi, perché magari ambiti boscosi con le piante che bloccano le visuali, dove l’interesse prevalente non può essere quello percettivo, bensì naturalistico, farne delle strade-parco, suscettibilità che ha l’alto Molise. In tutto il patrimonio infrastrutturale viario molisano, non unicamente nei percorsi con valenze paesaggistiche, piuttosto specialmente, in quelli ad alta velocità, per così dire, occorre mettere in campo misure di mitigazione ambientale, dalla piantumazione di siepi ai margini alla realizzazione di sovrappassi per la grande fauna, tra cui i cinghiali, e di sottopassi per le microfaune, in maniera da favorire la concessione tra gli habitat dei tantissimi Siti di Importanza Comunitaria che costellano quasi ogni areale della regione, oltre ovviamente all’intensificazione delle azioni manutentive, di ripristino e di prevenzione in conseguenza della spiccata franosità del suolo in una molteplicità di comprensori collinari.

9. Un paesaggio provvisorio

Partendo da un caso particolare che è quello della ditta Felice in agro di Casacalenda, il cui impianto di betonaggio sembra essere nato in funzione della costruzione della nuova arteria di collegamento nel tratto dalla Bifernina allo svincolo di Provvidenti, affrontiamo questioni più generali. La prima è quella della provvisorietà suggerita dalla provvisorietà del cantiere, questa attività insistendo sul sito del cantiere installato per la realizzazione della strada: percepiamo l’ambito interessato come un paesaggio, per così dire, provvisorio, tanto più che qui il tracciato stradale si interrompe in attesa del finanziamento del successivo pezzo che dovrà ricongiungerlo (vi è già un viadotto incompleto) con quello che porta a S. Elia a Pianisi, parte dell’unica direttrice viaria destinata a collegare la vallata del Biferno con quella del Tappino. Il secondo tema che viene subito in mente di fronte a tale infrastruttura stradale, comprensiva dei manufatti connessi, appunto il cantiere, è quello della velocità delle trasformazioni paesaggistiche; in verità non è proprio così nella nostra situazione perché l’arteria iniziata il 30 settembre 1993 è stata dotata di uno svincolo efficiente per Casacalenda solo da pochi anni. Si è citata tale data perché in quel giorno dovettero trovare avvio tutti i progetti rientranti nel programma finale dell’Intervento Straordinario per il Mezzogiorno, l’ultima grande «infornata» di opere pubbliche che ha interessato il Molise. Stiamo parlando di velocità delle mutazioni dei quadri visivi, una cosa alla quale noi molisani non eravamo abituati almeno fino, siamo negli anni ’70, alla nascita dei due invasi, delle due fondovalle, dei nuclei industriali.

In pochi decenni la vecchia immagine della regione è stata profondamente modificata lasciando i molisani quasi storditi dai cambiamenti in quanto di colpo ci si è trovati al cospetto di quadri visivi del tutto differenti. Ci si è calati in breve tempo in un mondo diverso e il Molise stava diventando irriconoscibile tanto sono state vistose le modificazioni dei panorami, specie in alcuni tratti del territorio come i comprensori, tra cui quello tra Ripabottoni e Casacalenda, attraversati dalle moderne strade. Mai si era vista una simile rapidità nelle modificazioni delle vedute panoramiche, dovendo risalire probabilmente all’epoca romana quando venne creato il municipio della vicina Larino per trovare qualcosa di comparabile, non il medioevo essendo l’incastellamento un fenomeno di lungo periodo. Un arco temporale più breve per le modifiche alla configurazione territoriale lo si ha unicamente con gli eventi bellici, ma, per fortuna, il Molise non è stato fronte di guerra nel secolo passato, o con il terremoto e S. Giuliano di Puglia, centro non troppo distante da Casacalenda, ne è un esempio. Il terzo punto tra gli argomenti di riflessione collegati alla faccenda del cantiere è quello del «non finito», il quale suscita un sentimento che equivale alla perdita di sicurezza dal punto di vista psicologico per il venir meno dei riferimenti visivi, scomparsi i “segni” del paesaggio tradizionale e non ancora affermatosi un paesaggio contemporaneo compiuto. Una strada, anche qualora completata, è una struttura che, per la sua rilevanza fisica, richiede un periodo non corto per essere assorbita nell’immagine dei luoghi. Ci stiamo assuefacendo al non finito che qui da noi impera in molti campi: dalla Ricostruzione post sisma non ancora conclusa neanche nel perimetro del «cratere» in cui c’è pure Casacalenda, alla baraccopoli, adesso siamo lontani da Casacalenda, di Rionero Sannitico per ospitare, sino a non molto tempo fa, persone con case distrutte da una frana, al formarsi, in assenza di un qualsiasi piano, di autentici insediamenti abitativi nella campagna di Campobasso. Non finito è una definizione che può impiegarsi pure per i capannoni produttivi ormai dismessi e non convertiti ad altro uso, neanche a testimonianza dell’archeologia industriale con opportuni interventi di restauro, o i tanti P.I.P. lasciati vuoti (parte della zona industriale Fresilia a Frosolone, ad esempio,).

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Seppure sempre di non finito si parli, quello di prima va definito paesaggio della disorganicità, quest’altro dell’abbandono. Riprendendo le fila del discorso, abbiamo messo in relazione l’impianto di betonaggio da cui si è partiti con 3 effetti percettivi che esso determina e cioè la provvisorietà, la velocità e il non finito. Bisogna, comunque, dare un peso alle cose: il sito di cantiere è una sorta di spia delle problematiche, una è l’arteria nel suo complesso a provocare, per il peso visivo, le sensazioni descritte. Le infrastrutture viarie attuali hanno sempre un grande impatto sul paesaggio che assorbe in sé quello delle opere connesse, per dirlo in altri termini. Una precisazione da fare che non si è fatta all’inizio è che si è presa la strada, quale esemplificazione, se non simbolo nell’età che stiamo vivendo della precarietà che ormai si è insinuata nella visione dei paesaggi. Costruire una arteria lo si fa velocemente poiché ci si avvale di tecniche avanzate, di grandi scavatrici meccaniche, non più il ritmo del lavoro manuale. Pensare che l’esecuzione di tracciati che corrono lungo versanti montuosi, quello tra il Biferno e Casacalenda, la quale richiede l’effettuazione di squarci nei rilievi e riporti di materiali per rendere piano la sede carrabile, ciò che è accidentato, si riescano ad integrare subito nel paesaggio è sbagliato: i processi naturali di riassestamento del terreno durano necessariamente un lungo tempo per cui vi è la provvisorietà nell’aspetto paesaggistico. I paesaggi preesistenti vengono alterati anche se la viabilità nuova segue percorsi precedenti e ciò lo si può constatare lungo l’antica statale per Termoli, tra Campolieto e Casacalenda; l’asse viario cambia, non è più ondulato come quello vecchio per seguire l’ondulazione del terreno e poi vi sono i viadotti per superare i corsi d’acqua oppure per passare con un gran balzo da una collina all’altra e gallerie. Non è stato finora bonificato e restituito alla natura o trasformato in pista ciclabile il sedime della strada che viene abbandonato, a causa, è da ritenere, della norma che stabilisce che i percorsi stradali essendo beni demaniali sono inalienabili e perciò inamovibili. Lungo questa arteria, la quale non è corretto ritenerla una rettifica, un semplice riassesto della Sannitica, sono rare le stazioni di servizio, mentre i sovrappassi e gli svincoli aerei, magari a quadrifoglio, sono inutili. Le strade richiedono nella fase di realizzazione a volte cave di “prestito” e superfici da colmare con la terra derivante dagli scavi, sempre un’area da destinare a cantiere, anch’esse, nonostante siano temporanee, opere complementari al percorso viario e con il quale costituiscono un tutt’uno in termini di incidenza ambientale, di effetti di provvisorietà, di velocità, di non finito avvertiti dalla coscienza collettiva.

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